Blue
Jasmine rappresenta davvero una bella notizia: dopo l'episodio
disastroso e insincero di To Rome with Love, Woody Allen
ritorna alla dignità artistica che ha sempre caratterizzato il suo
cinema. Allen (ci vorrà un po' di tempo prima di tornare a chiamarlo
con affetto Woody!) è tornato a se stesso.
Jasmine
(Cate Blanchett) viveva
da milionaria a New York col marito Hal, mago della finanza (Alec
Baldwin), e guardava dall'alto in basso Ginger (Sally Hawkins), la
sorellastra povera di San Francisco. Ma ora Jasmine è rovinata (Hal è stato arrestato e si è suicidato in cella, lei ha dovuto
cedere tutte le proprietà al fisco) e va ad abitare da Ginger per un
po'.
Quando
arriva a San Francisco annunciando “Non
ho più un soldo” e poi rivela all'esterrefatta Ginger che ha
volato in prima classe, pensiamo di essere avviati verso la tipica
commedia di costumi alleniana. Invece Blue Jasmine
è quella che ormai si chiama comunemente dramady,
un misto di dramma e commedia, un dramma in cui non manca una vena di
feroce comicità oggettiva (proprio quella che si trova nei drammi
della vita: Pirandello insegna). Qui conviene ricordare che uno dei
numi tutelari culturali di Woody Allen è Čechov e il suo influsso
si sente forte nel film. Si veda, nel teso dialogo a tre del finale,
il discorso in cui la protagonista si aggrappa alle sue vecchie
bugie: è assolutamente čechoviano; come lo è la
conclusione che segue immediatamente.
Ora,
molti sono i temi che hanno attraversato la filmografia di Woody
Allen ma uno è il più importante di tutti, quello dell'autenticità.
A tal punto Allen (che come tutti i veri comedians
è un moralista) pone in primo piano questo requisito dell'essere
umano da avere tracciato un segno di eguaglianza tra autenticità
umana e autenticità artistica: non si dà la seconda se manca la
prima, come dimostra in modo paradigmatico Pallottole su
Broadway.
Jasmine, nel film, è vera figura dell'inautenticità. Non perché è
(ex) ricca e snob; ma perché ha vissuto sulle losche attività del
marito chiudendo convenientemente tutti e due gli occhi e anche
adesso che il suo mondo è crollato, non si sogna di sentirsi
colpevole per gli imbrogli di Hal (che incidentalmente hanno
rovinato la famiglia di Ginger e fatto fallire il suo matrimonio).
Non sa neppure trarne le conseguenze materiali, come mostrano le
pagine cupamente divertenti in cui progetta un futuro lavoro. Jasmine
è una di quelle persone che vivono avvolte in una nube di
autoindulgenza. La sua specialità la esprime la sorella, parlando
col marito in un flashback ai tempi della ricchezza: “Quando
Jasmine non vuole sapere qualcosa ha l'abitudine di girarsi
dall'altra parte”.
“Fasullo”
è un aggettivo che ricorre di continuo nel film; e fasulla totale
Jasmine lo è fino dal nome, che era Juliette e se l'è cambiato.
In
molti film alleniani un evento imprevisto - a volte innaturale o
magico - manda in frantumi le nostre false certezze esistenziali e
così ci permette di far emergere il nostro vero io. Ma Jasmine dopo la caduta, ormai ridotta a un fascio di nervi, che parla da sola
e si imbottisce di Xanax, continua a sentirsi high class
e spinge perché Ginger lasci il nuovo fidanzato troppo plebeo.
Quanto a lei, incontra un (parodisticamente) perfetto principe
azzurro, ed è con le sue bugie che si scava la fossa. Il risultato
della sua incapacità di riflettere seriamente sul presente e sul
passato è l'autodistruzione.
Il film si sviluppa sul doppio
registro temporale del “racconto primo” nel presente della
povertà e di numerosi flashback ai tempi della ricchezza, i quali si
costruiscono a puzzle svelando a poco a poco il passato (con
un'agghiacciante sorpresa a fine film). I raccordi che segnano
l'entrata dei flashback sono interni al personaggio, sono
associativi, come quando la semplice frase “...è francese”
innesta il ricordo di quando Jasmine scoprì i tradimenti del marito.
Allen
solitamente preferisce la commedia di situazione, ma non ha
disdegnato ogni tanto il ritratto a tutto tondo (un esempio fra
tanti, Accordi e disaccordi).
Tanto più che la sua carriera si è sviluppata nel segno di una
classicità narrativa che tiene qualcosa della costruzione elaborata
e coscienziosa del realismo ottocentesco. E il punto di Blue
Jasmine è proprio di sviluppare
con estrema precisione, vien da dire con accuratezza clinica, il
ritratto dei personaggio.
E'
questo, credo, a dar conto del regime dei flashback. Infatti il
carattere brusco e quasi nascosto delle entrate dei flashback nei
film ha un senso psicologico. Il flashback dovrebbe essere il
passato; ma per Jasmine è il presente: lei vive il presente come se
fosse un sogno, non lo riconosce se non a livello superficiale; in
altri termini, si potrebbe dire che non ha elaborato il disastro che
le è accaduto. Vive una condizione narcisistica bloccata, per cui di
fronte alle necessità della nuova vita reale oscilla fra regressione
narcisistica e negazione della realtà. In questo suo mondo
narcisistico cerca di trascinare Ginger, ma il risveglio è duro per
tutte e due – peraltro, anche allora Jasmine continua a non
accettare la realtà, ormai debordando sul lato psicotico. Questo è
uno dei pochi film di Allen che abbia un finale aperto in senso
tragico. Un vero ritratto in nero – ma anche un recupero
dell'integrità artistica per il suo autore.
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