venerdì 13 dicembre 2013

Blue Jasmine

Woody Allen

Blue Jasmine rappresenta davvero una bella notizia: dopo l'episodio disastroso e insincero di To Rome with Love, Woody Allen ritorna alla dignità artistica che ha sempre caratterizzato il suo cinema. Allen (ci vorrà un po' di tempo prima di tornare a chiamarlo con affetto Woody!) è tornato a se stesso.
Jasmine (Cate Blanchett) viveva da milionaria a New York col marito Hal, mago della finanza (Alec Baldwin), e guardava dall'alto in basso Ginger (Sally Hawkins), la sorellastra povera di San Francisco. Ma ora Jasmine è rovinata (Hal è stato arrestato e si è suicidato in cella, lei ha dovuto cedere tutte le proprietà al fisco) e va ad abitare da Ginger per un po'.
Quando arriva a San Francisco annunciando “Non ho più un soldo” e poi rivela all'esterrefatta Ginger che ha volato in prima classe, pensiamo di essere avviati verso la tipica commedia di costumi alleniana. Invece Blue Jasmine è quella che ormai si chiama comunemente dramady, un misto di dramma e commedia, un dramma in cui non manca una vena di feroce comicità oggettiva (proprio quella che si trova nei drammi della vita: Pirandello insegna). Qui conviene ricordare che uno dei numi tutelari culturali di Woody Allen è Čechov e il suo influsso si sente forte nel film. Si veda, nel teso dialogo a tre del finale, il discorso in cui la protagonista si aggrappa alle sue vecchie bugie: è assolutamente čechoviano; come lo è la conclusione che segue immediatamente. 
Ora, molti sono i temi che hanno attraversato la filmografia di Woody Allen ma uno è il più importante di tutti, quello dell'autenticità. A tal punto Allen (che come tutti i veri comedians è un moralista) pone in primo piano questo requisito dell'essere umano da avere tracciato un segno di eguaglianza tra autenticità umana e autenticità artistica: non si dà la seconda se manca la prima, come dimostra in modo paradigmatico Pallottole su Broadway.
Jasmine, nel film, è vera figura dell'inautenticità. Non perché è (ex) ricca e snob; ma perché ha vissuto sulle losche attività del marito chiudendo convenientemente tutti e due gli occhi e anche adesso che il suo mondo è crollato, non si sogna di sentirsi colpevole per gli imbrogli di Hal (che incidentalmente hanno rovinato la famiglia di Ginger e fatto fallire il suo matrimonio). Non sa neppure trarne le conseguenze materiali, come mostrano le pagine cupamente divertenti in cui progetta un futuro lavoro. Jasmine è una di quelle persone che vivono avvolte in una nube di autoindulgenza. La sua specialità la esprime la sorella, parlando col marito in un flashback ai tempi della ricchezza: “Quando Jasmine non vuole sapere qualcosa ha l'abitudine di girarsi dall'altra parte”.
Fasullo” è un aggettivo che ricorre di continuo nel film; e fasulla totale Jasmine lo è fino dal nome, che era Juliette e se l'è cambiato. In molti film alleniani un evento imprevisto - a volte innaturale o magico - manda in frantumi le nostre false certezze esistenziali e così ci permette di far emergere il nostro vero io. Ma Jasmine dopo la caduta, ormai ridotta a un fascio di nervi, che parla da sola e si imbottisce di Xanax, continua a sentirsi high class e spinge perché Ginger lasci il nuovo fidanzato troppo plebeo. Quanto a lei, incontra un (parodisticamente) perfetto principe azzurro, ed è con le sue bugie che si scava la fossa. Il risultato della sua incapacità di riflettere seriamente sul presente e sul passato è l'autodistruzione. 
Il film si sviluppa sul doppio registro temporale del “racconto primo” nel presente della povertà e di numerosi flashback ai tempi della ricchezza, i quali si costruiscono a puzzle svelando a poco a poco il passato (con un'agghiacciante sorpresa a fine film). I raccordi che segnano l'entrata dei flashback sono interni al personaggio, sono associativi, come quando la semplice frase “...è francese” innesta il ricordo di quando Jasmine scoprì i tradimenti del marito.
Allen solitamente preferisce la commedia di situazione, ma non ha disdegnato ogni tanto il ritratto a tutto tondo (un esempio fra tanti, Accordi e disaccordi). Tanto più che la sua carriera si è sviluppata nel segno di una classicità narrativa che tiene qualcosa della costruzione elaborata e coscienziosa del realismo ottocentesco. E il punto di Blue Jasmine è proprio di sviluppare con estrema precisione, vien da dire con accuratezza clinica, il ritratto dei personaggio.
E' questo, credo, a dar conto del regime dei flashback. Infatti il carattere brusco e quasi nascosto delle entrate dei flashback nei film ha un senso psicologico. Il flashback dovrebbe essere il passato; ma per Jasmine è il presente: lei vive il presente come se fosse un sogno, non lo riconosce se non a livello superficiale; in altri termini, si potrebbe dire che non ha elaborato il disastro che le è accaduto. Vive una condizione narcisistica bloccata, per cui di fronte alle necessità della nuova vita reale oscilla fra regressione narcisistica e negazione della realtà. In questo suo mondo narcisistico cerca di trascinare Ginger, ma il risveglio è duro per tutte e due – peraltro, anche allora Jasmine continua a non accettare la realtà, ormai debordando sul lato psicotico. Questo è uno dei pochi film di Allen che abbia un finale aperto in senso tragico. Un vero ritratto in nero – ma anche un recupero dell'integrità artistica per il suo autore.

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