domenica 28 giugno 2009

Lasciami entrare

Tomas Alfredson

I vampiri, si sa, per poter entrare devono essere invitati. Ma il titolo originale svedese e quello inglese dello splendido “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson (tratto dal romanzo di John Ajvide Lindqvist, anche sceneggiatore) sono più specifici dell’italiano: “Let the Right One In”, “Lascia entrare quello giusto”. E proprio questo è il problema del film, che si svolge - in colori cupi e smorti (anche il sangue) - in una Svezia desolata di giorni tristi e notti buie e solitarie. Storia di un dodicenne con genitori separati e assenti, tormentato dai bulli a scuola, che fa amicizia con una vampira coetanea (“Ho 12 anni… ma ce li ho da un sacco di tempo”), “Lasciami entrare” è un racconto di nordica solitudine disperata, dove la neve che copre il terreno vale come metafora della temperatura morale zero dell’ambiente. Nessuno nel film comunica con nessuno.
La vampira Eli non ha niente dell’appeal para-byroniano dei vampiri romantici contemporanei. Ringhia come una bestia, balza sulle vittime isolate per dissanguarle, Tomas Alfredson insiste a più riprese sulla sua bocca sporca di sangue; eppure lei e Oskar (splendide interpretazioni di Kåre Hedebrant e Lina Leandersson)sono gli unici personaggi umani di questo mondo di zombi in forma d’uomini - o di nazisti ante litteram come la banda dei persecutori del ragazzino. Di qui la loro alleanza (“Chi sei?” - “Io sono come te”). Non per nulla, dopo i desolati titoli di testa minimalisti, il film si apre con Oskar a torso nudo riflesso trasparente nel vetro della finestra che dà sulla notte: metaforicamente anche lui è un fantasma, non appartiene a quel luogo.
Come sceneggiatore, Lindqvist ha avuto il coraggio di tagliare impietosamente il suo libro e, contrariamente a quanto spesso accade, ciò rende il film più asciutto e in qualche misura migliore del romanzo. Ci rimette la figura del collaboratore umano del vampiro, che nel romanzo è un pedofilo innamorato di Eli mentre nel film resta un po’ indefinito. Ma la ridefinizione operata (che elimina il tocco grottesco di un cadavere che non muore mai, ciò che rende il film più realistico, e accenna appena al carattere androgino di Eli) da un lato rende la storia più concentrata e fulminante, dall’altro la spinge ulteriormente sul versante di un disperato e intenso romanticismo preadolescenziale. “Lasciami entrare” è parente - per citare opere recenti - più di un bel film sull’adolescenza come “Stella” che di epopee sanguinose come “30 giorni di buio”. E’ un film di vampiri come avrebbe potuto concepirlo Truffaut – che ci parla dell’adolescenza, i suoi tremiti, le sue incertezze, la sua rabbia, il batticuore, la solitudine, la curiosità sessuale, (lo sguardo a Eli nuda nel bagno), la trasformazione l’innocenza e la perdita. Di tutto questo è immagine-simbolo il sangue che resta sulle labbra di Oscar dopo il bacio.
Le inquadrature di “Lasciami entrare” sono piene di framing, specchi, surcadrages e via dicendo - che rare volte assolvono alla stessa funzione narrativa dello split screen, ma più spesso separano i personaggi nell’estraneazione, li imprigionano in gabbie di linee o in riflessi, frazionano e partiscono lo spazio - a esprimere una realtà ambigua, un mondo opprimente e moralmente privo di senso, il cui continuo rovesciamento non può che portare a una morale disperata eppure più limpida. La morale del vampiro.
Non voglio dire che Lindqvist sottintenda una concezione nietzschiana del vampirismo come potenza del più forte; anche i dialoghi di Eli con Oskar ci portano, con una secchezza hemingwayana, dentro la malinconia del vampiro; ma è inevitabile riconoscere una particolare innocenza a Eli e Oskar, circondati da questi fantocci vuoti (nota il raddoppiamento ironico quando dopo una visita di Eli la madre arriva a casa e chiama: “Oskar, fammi entrare”). Non a caso la ragazzina vampiro, nel climax, irrompe nella piscina come incarnazione di un’aspra giustizia - e anzi, nel romanzo i testimoni la prendono per un angelo. Così il film ha l’audacia di mettersi interamente sotto il segno della canzone di Morissey che gli dà il titolo, e che parla di iniziare una nuova esistenza (“Let the right one in… Let the old dreams die… Let the wrong ones go… let the old things fade”). E’ questo che fa il protagonista: una scelta. “Sgattaiolando di soppiatto nell’oscurità” come Bilbo nel brano de “Lo Hobbit” letto a scuola (un elegante tocco metanarrativo), Oskar cambia vita.

(Il Nuovo FVG)

1 commento:

blu02 ha detto...

Un libro bellissimo e un film ancor più straordinario. Un capolavoro che tocca il cuore e non lo lascia più.
PS. Stupenda la tua recensione!!