sabato 7 novembre 2020

Rebecca

 Ben Wheatley

La prima sensazione è di lesa maestà, perché nessuno dovrebbe permettersi di tampinare Sir Alfred Hitchcock. Però anche dopo il suo capolavoro gotico Rebecca, la prima moglie, del 1940, il romanzo di Daphne Du Maurier ha avuto una mezza dozzina di versioni televisive (fra cui quella italiana girata a Trieste); quindi questo Rebecca del 2020 di Ben Wheatley non è il primo e non sarà l'ultimo. Va da sé che qualsiasi comparazione sarebbe ingenerosa.
Lily James incarna la ragazza povera (non ne sentiamo mai il nome) che a Montecarlo sposa d'improvviso un ricco fascinoso (Armie Hammer). Ah, ma già nel nome – Maxim de Winter – costui porta l'inverno, con la solitudine e i sensi di colpa. Non per nulla in Hitchcock Laurence Olivier appariva per la prima volta a Joan Fontaine, forse pensando al suicidio, sul ciglio di una roccia a strapiombo sul mare. Per inciso, viene veramente da pensare che dalle inquadrature ricorrenti di onde contro le rocce nel film Roger Corman abbia tratto ispirazione per le immagini analoghe del suo ciclo su Poe.
Mentre Hitchcock era drammatico fin dalla presentazione dei personaggi, nel presente film le scene di Montecarlo, coi loro colori caldi, sono molto più festive; è quando Maxim porta la protagonista nella sua principesca magione, Manderley, che il mondo sembra rovesciarsi e lei deve fare i conti con l'ombra opprimente della prima moglie, Rebecca, apparentemente morta nell'affondamento del suo yacht, e ancora venerata dalla squilibrata governante Mrs. Danvers.
Lei è ancora qui”. Rebecca è una storia di fantasmi. Non ci sono ectoplasmi notturni ma c'è (e probabilmente è anche peggio) una presenza ossessiva nel ricordo; e che Rebecca sia un revenant, un fantasma da cacciare, è bene espresso dal nome dello yacht, il cui ritrovamento fa precipitare la tragedia: Je Reviens, io ritorno.
Dignitoso ma senza grandezza, il film trova un punto di forza sul piano dei costumi e della scenografia (Manderley è una location particolarmente sontuosa). Kristin Scott Thomas ruba la scena nella parte di Mrs. Danvers: nessuna sorpresa, è un cavallo di battaglia per le attrici specializzate in “signore cattive” – anche se qui la sceneggiatura mostra un limitato tentativo di umanizzazione. La narrazione è abbastanza efficace (buona la pagina della nonna afflitta da senilità); opportunamente l'inizio amplifica la famosa apertura col sogno per facilitarsi una scelta dei tempi come incrocio di ricordi. Un difetto del film di Wheatley è che lascia personaggi a mezzo (il pazzo Ben) oppure omette di sviluppare spunti che sarebbero stati produttivi, come il sonnambulismo del marito. Il problema del film è proprio questo: è incerto fra le tentazioni gotiche e oniriche espresse già nell'apertura e la volontà di attenersi a un realismo psicologico sentito come “più moderno”.

Messaggero Veneto


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