mercoledì 20 novembre 2013

Blancanieves

Pablo Berger

Non fa meraviglia che Pedro Almodovar abbia dichiarato che Blancanieves è il miglior film spagnolo dell'anno: è suo! Ovvero: rientra totalmente in un'ispirazione almodovariana, a tutti i livelli: narrativo, figurativo, stilistico, persino in certi dettagli come un interesse affascinato per il coma (cfr. Parla con lei).
Questo film scritto e diretto da Pablo Berger è un neo-muto, come The Artist di Michel Hazanavicius (ma con meno finezza) e infatti ha aperto in ottobre – con scelta piuttosto discutibile – l'edizione 2013 delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone. La trama è un complicato retelling in salsa spagnola, tutta corride e flamenco, della storia di Biancaneve. La madre di Carmen muore mettendola al mondo lo stesso giorno in cui il padre, un torero, resta paralizzato nella corrida. L'ex torero sposa la sua perfida infermiera (Maribel Verdú, perfetta con quel viso da insetto predatore). La figlia cresce in casa maltrattata dalla matrigna, che tormenta anche il paralitico; questi insegna di nascosto alla figlia a toreare. In seguito la matrigna lo uccide (con un'inquadratura citazionistica hitchcockiana) e incarica il suo chauffeur, nonché amante, di uccidere Carmen. La ragazza per sfuggirgli cade in un fiume e quasi annega. Viene trovata e accudita da sette nani, che fanno uno spettacolo comico di toreri, ma ha perso la memoria. Tuttavia ricorda ancora l'arte del matador, e accanto ai sette nani diventa una donna torero famosa... Già ce ne sarebbe in abbondanza per un film, ma siamo appena a metà.
L'idea è certamente interessante, ma anche con la massima buona volontà è difficile guardare a Blancanieves come a un vero film muto; e certo non basta la sostituzione del dialogo con didascalie. Per quanto alcune immagini possano ricordare i classici, il montaggio è completamente moderno. Certo, il muto ha avuto anche altre forme di montaggio rispetto al classicismo del “grande muto” americano, e magari a queste Blancanieves è più vicino: ma citare il montaggio di Ejzenštejn in questa occasione sarebbe una bestemmia, e comunque Blancanieves non guarda affatto ad Ejzenštejn o Gance o Pabst ma segue direttamente e volutamente il linguaggio contemporaneo - senza l'ombra di quell'interesse verso lo stile d'epoca (oscillante fra i '20 e i '40, ma d'epoca) che rendeva piacevole The Artist. Allo stesso modo, è completamente contemporanea la recitazione degli interpreti.
Il motivo principale, però, per cui questo film muto non è un film muto non consiste nel montaggio bensì in un'incertezza di fondo nel regime del sonoro. Il problema sono i suoni diegetici, ossia i rumori. Un film muto naturalmente non li conteneva (se non eccezionalmente, in occasione di accompagnati complessi, come le pistolettate a salve durante le scene di battaglia nella “prima” con grande orchestra di Nascita di una nazione). Ora, la grande contraddizione di Blancanieves è che i suoni a volte entrano nella colonna sonora (il battito di mani, il graffiare della puntina del grammofono a fine disco), a volte restano muti, impliciti nell'immagine, mentre in un caso il chicchirichì di un gallo viene reso con una frase musicale. Il massimo della contraddittorietà è nella scena della prima “corrida” di Carmen (scende in campo per salvare un nano a mal partito): vi sono applausi che non si sentono e campane che si sentono nella stessa scena.
Ma qual è il valore di Blancanieves , potremmo chiederci, al di là della filologia del muto? In verità si tratta di un film piuttosto incerto e sconclusionato. Il punto è che in questa Blancanieves non solo non c'è fiabesco (e questa è una legittima scelta di partenza) ma non c'è neppure leggerezza né ironia complessiva. Così quando entrano degli elementi di umorismo - la matrigna in attire sadomaso col suo amante - pur fornendo le immagini migliori del film risultano stridenti in quanto non accordati col resto. Ora tragico ora grottesco, ora buffonesco ora mélo, ora garbato (il nano innamorato) ora volutamente eccessivo (l'infarto di Angela Molina mentre balla), il film aspira a realizzare un mélange di toni dove il modello di Almodovar è più che evidente - ma lascia piuttosto un senso di sconcertata sazietà. Per cui anche un unhappy ending che in sé non è brutto partecipa della mancanza di equilibrio del film.

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