Abdellatif Kechiche
Al cinema l’autenticità è prima di tutto una questione di tempo. Il “tempo lungo”, non sfrondato, di una discussione interminabile: la bambina di due anni che non vuole imparare a fare la pipì nel vasetto, la madre incazzatissima non la finisce di rognare sulla piccola, il nonno con la bambina in braccio la difende mitemente. Una noia, dirà chi non ha visto “La graine et le mulet”, in Italia “Couscous” (sarebbe il cuscus), di Abdellatif Kechiche. E invece no, è appassionante.
Slimane (Habib Bonfares), un immigrato algerino sessantenne, è divorziato e divide il suo tempo tra i figli e figlie avuti con la moglie, ottima cuoca di cuscus, e la sua nuova compagna, la cui figlia Rym (Hafsia Herzi) lo adora. E’ una situazione familiare complicata quella che si riflette nel viso stanco del vecchio. Kechiche rende in maniera immediata e autentica questi rapporti, con tocchi profondamente “veri”, come quando le figlie fanno educati complimenti alla nuova compagna del padre quando la incontrano e appena sole si mettono a criticare “quella troia”. Hafsia Herzi, Coppa Mastroianni alla Mostra di Venezia, è davvero una rivelazione – e non lo dico per la lunga sequenza finale di danza del ventre che ha fatto molto per la fama del film; basta vedere la grande scena del litigio con la madre.
Il film ha la capacità di mantenere il suo senso di immediatezza quando dalla cronaca familiare il racconto passa a un supporto narrativo. Licenziato dopo 35 anni di lavoro, Slimane decide di usare la liquidazione per comprare una vecchia carretta di nave ormeggiata al molo e aprirci un ristorante di cuscus a conduzione familiare. Nota in margine, qui c’è un aspetto del film dove la reazione degli spettatori francesi e italiani sarà divergente. Perché “Couscous” vuol guardare con ironia malinconica alle difficoltà burocratiche (la banca non dà il prestito senza il permesso del comune, il comune non dà il permesso senza il prestito della banca); i francesi troveranno l’iter vagamente kafkiano; a noi italiani sembra un miracolo di rapidità, buon senso e buona amministrazione. Da noi Slimane sarebbe ancora lì che spende e attende per collezionare pezzi di carta.
Tornando a Kechiche, “Couscous” non è un film nato all’insegna della spontaneità; il regista ha provato a lungo coi suoi interpreti, in buona parte non professionisti, per poi lasciarli liberi al momento di girare. Appunto, si sente a volte la sceneggiatura sporgere come un’ossatura sotto l’apparente naturalezza. Per esempio è molto sottolineato il rapporto tra i discorsi sul malocchio e la telefonata che innesta la gelosia della nuora. Esiste anche un tentativo di metaforizzare (“il cuscus è l’amore”, dice l’ex moglie di Slimane) ma poi per fortuna il film non ci insiste sopra.
Quello che il regista franco-algerino sa meglio dipingere sono i momenti di discussione. Qui risalta in particolare quel senso assoluto di realtà che Kechiche -amante dei primi piani, anche molto stretti - è capace di dare ai visi; la sua macchina da presa a mano scivola velocemente da un viso all’altro – oppure, sono rapidi stacchi. Non penso solo a scene di gruppo (il lungo pranzo familiare domenicale, i vecchi al bar dell’albergo che commentano i guai di Slimane) ma anche più ristrette, come quella già citata di Rym con la madre, oppure quella della disperazione furiosa della nuora di Slimane, malmaritata con un suo figlio cialtrone, scena prolungata quasi fino all’intollerabile con la rabbia lacrimosa che ritorna su se stessa come un disco rotto.
Alla fine (lettore, attento: segue spoiler!) tutto il piano di Slimane va in crisi per una stupidaggine del figlio. Ebbene, qui “Couscous” si chiude su una sospensione del racconto, sul filo dell’ambiguità, che è forse la cosa migliore del film, o comunque la più rivoluzionaria. Mentre il cinema tradizionale mette in scena la peripezia, con i suoi momenti di crisi, allo scopo di arrivare a un momento di risoluzione, in cui si crea un equilibrio (di solito felice), questo film lascia i suoi percorsi aperti e vitali.
(Il Nuovo FVG)
venerdì 18 gennaio 2008
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1 commento:
Caro Giorgio, benvenuto bel mondo dei blogger!
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