domenica 15 giugno 2025

Fredo Valla - Le parole del padre


Una volta i padri parlavano ai figli – trasmettevano nella memoria le loro parole. Forse ancora oggi, chi sa. Non tutti. Fredo Valla è un documentarista, sceneggiatore, regista (e varie altre cose, nel corso di una lunga vita: è del 1948). Con Le parole del padre. Scritti, geografie e memorie (Aragno 2025, pp. 294, Euro 25), non scrive né un’autobiografia né un manuale di istruzioni morali: niente di pomposo e “ciceroniano”. Raccoglie una serie di suoi scritti sparsi, alcuni pubblicati su giornali e piccole riviste, altri inediti; direttamente e con modestia parla di sé e della propria avventura di vita e d’intelletto. Fa emergere un quadro a piccoli tocchi discreti: anche se parla di sé non è mai invasivo: da buon documentarista, fa sì che l’“io” tende a inverarsi nello sguardo. Si sarebbe potuto usare l’aggettivo “umile”, prima che questa parola diventasse di moda in ore stultorum.
Leggo nella bella prefazione di Luca Margaria “Quanti e quali incontri ci hanno plasmati e attraverso di essi ci siamo formati e costruiti? (…) Voluti o subiti, desiderati, ricercati, o semplicemente successi”. Questo mi fa venire in mente una pagina molto saggia di Jean Renoir (da Ma vie et mes films): “È il nostro orgoglio che ci fa credere all’individuo-re. La verità è che questo individuo di cui siamo così fieri è composto di elementi come un piccolo amico conosciuto alla scuola materna o il protagonista del primo romanzo che abbiamo letto, o perfino il cane da caccia del cugino Eugenio. Noi non esistiamo di per sé ma per gli elementi da cui siamo stati circondati nella nostra formazione”. C’è un po’ di enfasi positivista (perché fermarsi alla prima formazione?), e del resto un genio come Renoir sapeva bene che anche quello che facciamo ci trasforma; homo faber; nondimeno, ha ragione da vendere. Contro ogni idealismo, noi veniamo formati da influenze esterne.
Le parole del padre è una raccolta di scritti dove si può ritrovare tutto quanto – persone, viaggi, progetti, delusioni – ha modellato Fredo Valla. Lui viene fuori tutt’intero da queste pagine, e il fatto di non nascondere il loro carattere occasionale (non sono state riscritte o rifuse) non fa che rinforzare l’effetto. Accanto ai temi che uno si attende – quali l’amata Occitania (e l’occitano), il padre e la famiglia, la montagna, i suoi autori, i suoi maestri, o il rapporto col sodale Giorgio Diritti (“Dedizione: è la parola chiave di Giorgio per ogni suo progetto di film. È ciò che lui chiede ai suoi collaboratori. Sceneggiare per e con lui, è un’esperienza totalizzante”), e quello, meno lineare, con Ermanno Olmi – troviamo sorprese come il taccuino di un viaggio in Amazzonia, pieno di osservazioni interessanti (occhi aperti e niente retorica) e particolari vividi: gli italiani d’Amazzonia; le giovani donne; il vescovo sboccato; i miti; la festa rituale del Boi Bumbà, una delle tante resurrezioni di animali benefici del mondo; il rito di passaggio della Tucandera (riflessione assolutamente in margine: nella realtà fisica noi non ci castreremmo a capriccio, “per allegria” – nella realtà culturale sì. Quanto male, ma quanto male, ci siamo fatti come popolo, insieme di generazioni, quando abbiamo abolito nel nostro mondo i riti di passaggio?).
È interessantissima la genesi nella vita reale della storia de Il vento fa il suo giro: il tentativo di far rivivere un paese alpino in decadenza che si infrange contro l’ostilità della gente locale – o almeno dei peggiori di loro (grande l’annotazione “È vero che le donne di Ostana sono di una perfidia spettacolare”), ma vincitori. Uno stesso carattere antiretorico si ritrova anche in Nadinot – Lettera a un amico, un soggetto non realizzato (“mai abbandonato veramente” dice Valla), o, altro progetto non realizzato, ne Il mezzo prete, un film tra documentario e finzione che dà dell’omosessuale (“due gay di montagna”) una visione diversa dal modello lacrimoso-arcadico di moda.
Naturalmente non manca nel libro il progetto per il film su Ligabue, poi realizzato (Volevo nascondermi) con la sceneggiatura di Valla e la regia di Giorgio Diritti. “Mi piace pensarlo come un fossile, un relitto dei giorni che furono all’inizio del genere umano (…) Come bestia Ligabue annusa l’aria. Come belva mostra i denti, gli artigli davanti alla tela, e l’azzanna. Ligabue si masturba. Toccarsi è godere. Impasta i colori con le mani…”. Sarebbe interessante (un bell’argomento per una tesi di laurea) fare uno studio sul rapporto tra questo primo abbozzo e il film.
C’è altresì un progetto su Hans Clemer, artista innovatore del secolo XVI, stabilitosi a Saluzzo, “grande artista ignoto per secoli”. Dovrebbe dipanarsi secondo due linee, una più classica con il narratore, una in cui “episodi e avvenimenti e opere della vita del pittore diventano visioni che si mostrano sullo schermo”. Chissà se riusciremo a vederlo?
Una sezione è dedicata a quello che, almeno oggi, è il film più noto di Fredo Valla, il bellissimo documentario di oltre tre ore (ma passano in un attimo!) sul catarismo Bogre – La grande eresia europea. Valla riflette sul film e ne rievoca l’origine, con la scoperta dei Bogomili in Bulgaria che, racconta, dalla conoscenza dei Catari in Occitania si dilatò a uno spazio vastissimo, sia geografico sia ideale.
Forse soprattutto – mi perdoni il lettore questo tuffo nella soggettività – ho amato di questo libro le Pagine sparse, che fanno l’effetto di fogli volanti portati dal vento. E allora, il bellissimo Soffiare sul fuoco che parla dei “cicli del tempo degli uomini” e si situa su quello scivoloso crinale tra passato e presente/futuro che Valla sente come una pressante sfida esistenziale. La sfida fra passatismo conservatore, inevitabilmente “antiquario”, e fiducia nella forza della tradizione vivente, della lingua e della cultura locale, in senso democratico. Valla esprime il suo esserci con la necessità di continuare a “soffiare” – che se non vado errato è parente stretta del “dire la propria messa ogni giorno” di un film che amo molto, il bergmaniano Luci d’inverno.
O il magico Storie del Po, che segue il fiume ed è, nelle sue quattro pagine, un documentario di Fredo Valla su carta. Dettagli memorabili come la lista dei toponimi di origine animale (uno vorrebbe vederli, la roca di ciat, la rocca dei gatti, la funtana dla vurp, la fontana della volpe, il pra da lu, il prato del lupo), oppure le storie fantastiche di gatti e di masche (la disavventura che toccò alla Masca del Po, che rubava i gatti morti). C’è sempre nel realismo di Valla un côté fantastico e notturno.
E poi, l’incontro di rito e storia, di festa pagana e sovrascrittura cristiana, nelle feste delle valli, le Baie, in Rito e storia. In Valla (“smarrito nella modernità”, dice di sé in un punto) prende una dimensione urgente la dimensione locale: la lingua, le abitudini, la memoria, in lotta contro la marcia del tempo che appiattisce.

1 commento:

Fredo Valla ha detto...

Grazie Giorgio per queste belle pagine dedicate a Le parole del padre