lunedì 24 aprile 2023

As Bestas

Rodrigo Sorogoyen

Qualcosa nel drammatico As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, ambientato in Galizia, ricorda il recente Alcarràs di Carla Simón: ed è il modo in cui l’industria delle energie alternative si abbatte paradossalmente sulla natura e il mondo agricolo. In Alcarràs il frutteto delle pesche veniva distrutto per piazzare al suo posto pannelli solari. In As Bestas il paesaggio viene violato dalle pale eoliche; in una scena importante il protagonista va a guardarle da vicino e le vediamo inquadrate dal basso come oggetti mostruosi. L’offerta di vendere i campi dove saranno impiantate invoglia i contadini di un villaggio galiziano in decadenza; ma ciò viene bloccato dal rifiuto di due nuovi venuti francesi, Antoine e sua moglie Olga, che vogliono far rinascere il paese attraverso l’agricoltura.
Quello che in Alcarràs era elegiaco qui è un dramma psicologico sul filo di una suspense ossessiva. Contro l’intruso, “il francese”, nasce un odio che è di interesse ed è di nazionalità ed è di cultura, in particolare da parte dei fratelli Anta: il feroce e rissoso Xan ed il semideficiente Loren. Sorogoyen (co-sceneggiatore con Isabel Peña) scava nelle psicologie; una scena di ringhiose confidenze bevendo vino offre un barlume di comprensibilità umana anche al bestiale Xan. Ma il film corre verso la tragedia.
La parte migliore di quest’interessante film è probabilmente la seconda. Perché, come dichiarano gli autori, in realtà As Bestas non è un film ma due, divisi da uno sviluppo che qui non occorre svelare: una prima parte maschile e una seconda femminile, centrate sul marito e la moglie, in due eccellenti interpretazioni, di Denis Ménochet (il contadino del grande inizio di Bastardi senza gloria), che ha nel viso un’evidenza fisica alla Jean Reno, e dell’altrettanto brava Marina Foïs.

Messaggero Veneto



 

domenica 9 aprile 2023

L'uomo senza colpa

Ivan Gergolet

Partiamo dalla fine: dopo la conclusione de L’uomo senza colpa di Ivan Gergolet alcune didascalie ricordano i disastri dell’amianto, con 100.000 morti ogni anno e 125 milioni di persone esposte all’amianto sul luogo di lavoro. Una caratteristica positiva di questo film di fiction sull’amianto a Monfalcone è di aver evitato la via più ovvia e facile, quella del tradizionale dramma didattico; invece introduce nelle coscienze degli spettatori il tema per via indiretta, e quindi tanto più efficace, creando un dramma di caratteri con un sospetto di thriller.
Angela è un’infermiera vedova: il marito è fra le vittime dell’amianto, come il marito della sua migliore amica e poi l’amica, Elena, stessa. Il colpevole agli occhi di tutti è il ricco costruttore Gorian, che sapeva e ha taciuto. Ora Gorian ha avuto un ictus: è muto e paralizzato. Su invito del figlio Enrico (che viveva lontano ed è all’oscuro di tutto) Angela accetta di fare la badante di Gorian a casa sua. Vuole vendicarsi? Il mistero delle motivazioni si trasforma nell'intrico dei sentimenti.
Una sceneggiatura non sempre agile viene vivificata da una buona regia: sebbene questo sia il suo primo lungometraggio di fiction, il monfalconese Gergolet ha già una lunga carriera al suo attivo (ricordiamo il bel film documentario Dancing with Maria). Fin dall'incubo iniziale, seguito dalle inquadrature perpendicolari sul pavimento dell’ospedale, nella notevole fotografia di Debora Vizzi, c’è un elemento leggermente surreale che attraversa il film. Da elogiare in particolare le interpretazioni di Valentina Carnelutti (Angela) e Rossana Mortara (Elena), nonché quella del bravissimo Branko Završan (il paralizzato Gorian) che per tutto il film recita quasi solo con gli occhi, e nondimeno tratteggia una figura davvero potente.


(Messaggero Veneto)

domenica 2 aprile 2023

Terra e polvere

Li Ruijun

A voler trovare un riferimento occidentale, c'è qualcosa di pascoliano, nel senso del nostro Pascoli – ma il vero Pascoli vibrante e notturno, non quello delle poesiole che s’imparavano alle elementari – nel bellissimo e commovente dramma contadino Terra e polvere (premiato al Far East Film Festival 2022 sotto il titolo internazionale Return to Dust): per la sua adesione intensa e concreta alla natura, al senso fisico del lavoro, alle piccole cose quotidiane. Scritto, diretto e montato da Li Ruijun, è la storia di un matrimonio, combinato dai familiari, tra il Quarto Fratello Ma (ottimo Wu Renlin), un contadino povero, non giovanissimo, non bello, e una donna considerata senza valore, Guiying, che essendo stata maltrattata fin da piccola è goffa, timidissima, non controlla la vescica e si bagna addosso.
Sembra l'inizio di una storia di cupo naturalismo alla Émile Zola; e invece è una storia d’amore coniugale che raggiunge toni di quieta elegia contadina nel descrivere la tenerezza che nasce e perdura fra i due, nel duro, spesso ingrato lavoro dei campi; un affetto e una tenerezza che si realizzano in gesti gentili e silenziosi, un amore pudico tra due illetterati che non viene verbalizzato come tale ma si esprime nelle azioni, come quando Ma fa coprire meglio la moglie o si raccomanda che mangi, oppure quando lei gli viene incontro al ritorno, nel gelo, con una bottiglia d’acqua calda. Oppure in brevi raccomandazioni che sbocciano nel dialogo. Di lì la confidenza affettiva cresce fino alla completezza; e Guiying (un’interpretazione monumentale di Hai Qing, quanto diversa che in un film di genere come Operation Red Sea) attraversa una vera trasformazione.
Non è solo un progressivo aprirsi al parlare, è un distendersi del viso – fino al sorriso.
Tutto focalizzato sul marito e la moglie – ma è sempre presente nel quadro il loro asino, trattato con gentilezza, come un terzo umile membro della famiglia – Terra e polvere è un film di poche parole e molti silenzi, basato su un forte sentimento del tempo e del lavoro. Con un respiro ampio e disteso, rende splendidamente il passare del tempo e la forza del lavoro, il susseguirsi delle stagioni e la fatica dei gesti, la povertà e la volontà, il dolore intrinseco dell'esistenza (la malattia di Guiying) e il rapporto eterno con la generosa madre terra. Da essa procede una continuità naturale che avvolge il destino di tutte le cose.
Alla grande bellezza anche visiva del film dà un apporto fondamentale il direttore della fotografia Wang Weihua che non produce semplicemente l’“immagine bella” (quella ormai va a un soldo la dozzina) ma articola la composizione delle inquadrature con eccezionali surcadrages che aprono lo spazio e lo moltiplicano in sezioni. Per esempio, ve n’è uno all'inizio – con la testa di Ma in primissimo piano a destra, la sua immagine nello specchio a sinistra, e in alto sulla parete
una finestra attraverso la quale vediamo (e sentiamo) due donne che parlano – da scuola di cinema.
Nell’oggettività del racconto, entra tuttavia un elemento simbolico che ritorna lungo il film, con quella discrezione che gli è propria: come il nido di rondini, che allude alla casa, sogno perseguito dai due coniugi attraverso una serie di spostamenti e demolizioni; o i pulcini che richiamano la maternità negata a Guiying; o anche il televisore, promesso da Ma a Guiying, non semplice oggetto di consumo ma segno di una piccola ricchezza quotidiana che materializza la ricompensa del duro lavoro – e soprattutto, il rovesciamento dello stato di lei.
Non solo il destino pesa sulle vite: anche gli uomini. Sullo sfondo del film, con una valenza politica non indifferente (che infatti al governo non è piaciuta), sta lo sfruttamento dei ricchi sulle terre dei contadini (i ricchi chiedono persino trasfusioni di sangue a Ma, che ha un gruppo raro), ma anche la dissennata politica di urbanizzazione del governo cinese che ha lanciato una campagna per demolire delle vecchie case contadine vuote in cambio di un risarcimento. Il film è preciso nel dipingere gli ex contadini trasferitisi per lavorare altrove che tornano solo per far abbattere la vecchia casa, intascare il compenso e ripartire.
E anche Ma è spinto dall’avido fratello a lasciare la casa che lui e Guiying hanno costruito per trasferirsi in un piccolo appartamento di tipo cittadino (impagabile la prima visita all’appartamento, ripresa dalla televisione). Nel finale, con Ma vedovo, c’è qualcosa di apocalittico – prima che il corso della vita riprenda a fluire tristemente. Non si trova felicità sotto il cielo della Cina.