sabato 17 settembre 2022

Maigret

Patrice Leconte

Non stupisce che sia arrivato a Maigret l’elegante autore del simenoniano Monsieur Hire (1989), Patrice Leconte, un regista psicologico con una buona capacità di messa in scena e soprattutto nella direzione degli attori. Senza fare spoiler, Maigret et la jeune morte (solo Maigret da noi) innesta con intelligenza su Maigret e la giovane morta di Simenon, 1954, il concetto base (non il plot) del più noto Maigret tend un piège (La trappola di Maigret, 1955).
Bisogna fare attenzione all'apertura. Vediamo in montaggio parallelo l’inizio della storia di Louise (Clara Antoons), conforme al romanzo, e una visita medica di Maigret (Gérard Depardieu) che è in cattive condizioni fisiche; non solo ha perso l'appetito – che per lui è il colmo – ma il medico gli proibisce di fumare; Leconte ne approfitta per un paio di piacevoli annotazioni sulla sua nostalgia della pipa. E’ un Maigret triste, solitario y final. Un Maigret autunnale, stanco e malinconico, nonostante un suo scherzetto verbale al suo nemico fisso, il giudice Coméliau, sia gustoso (contiene un omaggio del film all’origine belga non di Maigret ma del suo autore). Più che mai corpulento (non una sorpresa con Depardieu), cammina con fatica, mandando avanti le gambe a stantuffo. Non è semplicemente la salute: ha momenti di smarrimento esistenziale.
Più psicologico e sociologico che strettamente atmosferico, a differenza per esempio dei Maigret di Delannoy con Jean Gabin, il film mette al centro della vicenda il rapporto di Maigret con due ragazze sbandate, una morta e una viva, che si assomigliano fino a fondersi nell'immagine. Questo tema portante si riferisce allusivamente alla tragedia segreta dei coniugi Maigret nei romanzi, una figlia morta neonata. Così Maigret, ma anche la signora Maigret, instaurano con la giovane Betty (Jade Labeste) un rapporto in cui sembrano ritrovare la figlia perduta; e per Maigret questo rapporto si rivela curativo.
Si fa notare l’elemento metacinematografico che Patrice Leconte inserisce nel film, con la lunga sequenza dell’incontro di Maigret con l’attricetta Jeanine (Francesca Manicone) nel teatro di posa: la sottolineatura del carattere finto della scenografia, il grande fondale dipinto che incombe su un ambiente del set, e poi un riflettore puntato contro la mdp. Quest'elemento metacinematografico verrà ripreso nel finale, prima in modo simbolico, interno alla diegesi, col film-nel-film, e poi dichiarato (ma con graziosa leggerezza) nell’ultima inquadratura.
Per quanto riguarda il terreno scivoloso della resa del testo, tanto più importante per un autore assai “visivo” come Simenon, la sceneggiatura di Patrice Leconte e Jerôme Tonnerre è molto attenta a mantenere la “maigretudine”; non manca il famoso “Non penso niente” che è una marca di fabbrica del commissario; un piccolo sgarbo nel modo in cui un subordinato chiama il giudice Coméliau (il Maigret dei romanzi l’avrebbe rabbuffato) può essere perdonato; come direbbero gli sherlockiani, rientriamo bene nel Canone.
Abbiamo conosciuto tanti Maigret al cinema e in tv. Forse inevitabilmente, all’aria un po’ stolida e impassibile del grosso commissario essi hanno spesso sostituito una maggiore mobilità dell’espressione e a volte del corpo. Fa eccezione il Maigret più amato da Simenon, Pierre Renoir (ne La nuit du carrefour, 1932, di suo fratello Jean). Jean Gabin è, appunto, un po’ mobile nel viso e nei gesti, rispetto all’idea che ci facciamo nei romanzi, ma autorevole, massiccio, perfetto nella sua forza e solidità. Lo stesso vale per il nostro Gino Cervi, naturalmente, anche lui un po’ mosso, con quella sua aura di “bonomia padana” (Roberto Ellero); e bene anche Rupert Davies in una vecchia serie inglese in b/n (mentre Michael Gambon in un’altra serie inglese è corretto ma sembra più un ispettore di Scotland Yard). Un eccellente Maigret televisivo è stato Bruno Crémer: calmo e possente, con occhio attenti e una voce profonda e tranquilla, il viso che diviene intenso nei momenti giusti. Ora Gérard Depardieu riprende quell’elemento: è massiccio, calmo, dal viso rigido e controllato, dove l’emozione si traduce attraverso gli occhi, con la capacità di passare dalla depressione dell’inizio a un sorriso che sboccia improvvisamente mentre si rade e ascolta le voci fuori campo di Betty e di sua moglie, fino scoppiare più tardi in una risata di complicità. Per tutto questo Depardieu entra nella lista dei miglior Maigret in assoluto.