Gareth Edwards
Inutile
fare gli snob: Jurassic World – La rinascita è divertente, com’è
naturale per un film di personaggi in viaggio in un territorio pieno
di mostri intenzionati a mangiarli: un film di fughe, irruzioni e
inseguimenti; basta che sia realizzato con un po’ di
professionalità. Qui, il regista Gareth Edwards non è il primo
arrivato; al suo fianco c’è Steven Spielberg come produttore
esecutivo (però lo è stato anche nell’inguardabile Jurassic World
– Il dominio di Colin Trevorrow, 2022); e il film è ben servito
dall’abile montaggio di Jabez Olssen. Alla sceneggiatura ritorna
David Koepp. Dopo il tentativo fallimentare di inserire i dinosauri
nel mondo contemporaneo, si ritorna al concetto dell’isola
selvaggia (con i classici echi de Il mondo perduto e King Kong).
Questo,
a costo di rovistare il più possibile nei cassetti dell’immaginario
“giurassico”; per esempio rifacendo ex novo, con una bestiaccia
differente, la famosa scena spielberghiana del velociraptor nelle
cucine con i ragazzi nascosti dietro i mobili. C’è nel presente
film una capacità molto alla Spielberg di far apparire i dinosauri a
sorpresa: ora emergono dalla nebbia, ora si intrufolano non visti sul
fondo; in una delle scene migliori, vediamo un personaggio
arrampicarsi freneticamente sulla parete mentre il quetzalcoatlus
(uno pterosauro volante in confronto al quale lo pterodattilo sembra
il canarino Titti) cerca di beccarlo; stacco al ciglio del burrone,
dove lo aspettano i suoi amici, e vediamo emergere da sotto il
quetzalcoatlus con l’uomo nel becco come un passero con un verme.
Divertimento
immediato a parte, Jurassic World – La rinascita ha aspetti
positivi e negativi. La cosa di gran lunga più interessante è il
suo aspetto apertamente metanarrativo (ossia, di una narrazione che
rimanda a se stessa). Il film si svolge in un mondo in cui: a) i
dinosauri stanno morendo (tranne quelli nella zona equatoriale dove
si recano illegalmente i protagonisti); b) comunque lo spettacolo dei
dinosauri non interessa più a nessuno. Una volta c’era la fila,
adesso vendiamo dodici biglietti in una settimana, dice a un dipresso
il curatore del museo. Il punto a) ha un valore metaforico, il punto
b) è un’invenzione diegetica, entrambi ci parlano dell’esaurimento
della serie Jurassic. Dopo la sorpresa epocale del film di Spielberg
del 1993, e dopo i primi sequel, il concetto aveva cominciato a
mostrare la corda (non per niente il titolo del presente film è uno
speranzoso Jurassic World Rebirth).
Un
grave demerito di Jurassic World – La rinascita è la prevedibilità
delle caratterizzazioni (per inciso, è lo stesso difetto che si
ritrova quest’anno in F1 – Il film di Joseph Kosinski). Jurassic
World – La rinascita si basa su un doppio gruppo protagonista. Il
primo è un team che si reca clandestinamente nell’isola per
estrarre il DNA di tre generi di dinosauri vivi (manco a dirlo, i più
pericolosi) allo scopo di fabbricare un prodotto farmaceutico contro
l’infarto – la solita Big Pharma, per intenderci. È un gruppo di
characters prevedibili ai limiti dell’autoparodia: la bella
mercenaria tough as nails (peraltro nel ruolo Scarlett Johansson è
brava), lo studioso supercompetente ma impacciato che si rivela
eroico, il capitano nero scafato, la carogna a prima vista che lavora
per la ditta farmaceutica, più due tre personaggi che servono
fondamentalmente come carne da dinosauro.
Nota
in margine: perché questa prevedibilità non ci disturba, e anzi ci
piace, nei film avventurosi di serie B in bianco e nero o nel
lussuoso Technicolor degli anni Cinquanta – mentre ci dà un certo
fastidio oggi? Ma perché il cinema d’oggi, per così dire, ha
mangiato il frutto del bene e del male. Con la morte dei B movies ha
rinunciato alla sua ingenuità.
Il
secondo gruppo, che incrocia la strada del primo, è una famiglia di
naufraghi (padre, due figlie e fidanzato della figlia maggiore), che
serve a poco più che a scappare, piangere, correre e volersi bene,
provvedendo una storia secondaria in montaggio parallelo con la
prima. Andrebbe studiata nelle scuole di sceneggiatura, come esempio
negativo, l’incredibile caratterizzazione iniziale del fidanzatino
stronzetto, che poi tira fuori la sua umanità. È un tocco di
sceneggiatura di una goffaggine imperdonabile, al punto che facciamo
il tifo per i dinosauri che vogliono mangiarselo. Parimenti è
imperdonabile l’orrida trovata disneyana del dinosaurino cute che
si affeziona alla figlia minore. Questo secondo gruppo viene
precipitato nella trama praticamente senza giustificazione: cosa ci
fanno questi quattro sprovveduti californiani con la loro barchetta a
vela nel tratto di mare più pericoloso della terra? Al tempo del
cinema classico, che era molto logico (su un piano illusorio, ma lo
era), lo sceneggiatore avrebbe dedicato dieci secondi di film a
fornire una spiegazione: metti, sono incappati in una tempesta che ha
messo fuori uso gli strumenti di bordo e sono finiti fuori rotta.
Un
tratto spiacevole del film è che commette lo stesso errore degli
scienziati sperimentatori del prologo. Questi scienziati (e qui,
naturalmente, siamo ancora nel campo metanarrativo) cercavano di
creare nuovi dinosauri transgenici perché, come sentiamo nel film,
la gente era stufa dei soliti dinosauri. Poi è andata male e i
dinosauri mutanti sono stati abbandonati sull’isola evacuata.
Quindi i nostri eroi devono vedersela con dinosauri mutanti non
esistiti nella storia del mondo – i quali entrano in scena in
particolare nel gran finale.
In
primo luogo, questo è deludente perché il concetto base dell’intera
serie non è “uomini contro mostroni più o meno dinosaureschi”
ma è “uomini contro dinosauri, punto”. Dritti dritti dal
Giurassico, e col bollino di garanzia di una loro storicità (almeno
allo stato attuale delle nostre conoscenze). I realizzatori avrebbero
dovuto imparare dai film di insetti giganti degli anni Cinquanta: la
mantide gigante grande come un palazzo di sei piani è appunto una
mantide. Vero è che Jurassic World (Trevorrow, 2015) già presentava
un superdinosauro geneticamente modificato; ma fondamentalmente era
un tirannosauro più grosso.
Punto
secondo, e questo è il guaio peggiore, questo “nuovi” mostri
saranno pure cattivissimi ma non hanno nessuna attrattiva visiva. I
sauri col becco da passero e la pappagorgia che si comportano come
velociraptor? Il gigante Distortus Rex che sembra un T-Rex con
una gran bozza sulla fronte? Suonano finti, artificiosi,
immaginari qual sono, e in ultima analisi un po’ ridicoli. Morale:
la Natura aveva più stile dei realizzatori in CGI del film.
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