martedì 8 luglio 2025

Jurassic World - La rinascita

Gareth Edwards

Inutile fare gli snob: Jurassic World – La rinascita è divertente, com’è naturale per un film di personaggi in viaggio in un territorio pieno di mostri intenzionati a mangiarli: un film di fughe, irruzioni e inseguimenti; basta che sia realizzato con un po’ di professionalità. Qui, il regista Gareth Edwards non è il primo arrivato; al suo fianco c’è Steven Spielberg come produttore esecutivo (però lo è stato anche nell’inguardabile Jurassic World – Il dominio di Colin Trevorrow, 2022); e il film è ben servito dall’abile montaggio di Jabez Olssen. Alla sceneggiatura ritorna David Koepp. Dopo il tentativo fallimentare di inserire i dinosauri nel mondo contemporaneo, si ritorna al concetto dell’isola selvaggia (con i classici echi de Il mondo perduto e King Kong).
Questo, a costo di rovistare il più possibile nei cassetti dell’immaginario “giurassico”; per esempio rifacendo ex novo, con una bestiaccia differente, la famosa scena spielberghiana del velociraptor nelle cucine con i ragazzi nascosti dietro i mobili. C’è nel presente film una capacità molto alla Spielberg di far apparire i dinosauri a sorpresa: ora emergono dalla nebbia, ora si intrufolano non visti sul fondo; in una delle scene migliori, vediamo un personaggio arrampicarsi freneticamente sulla parete mentre il quetzalcoatlus (uno pterosauro volante in confronto al quale lo pterodattilo sembra il canarino Titti) cerca di beccarlo; stacco al ciglio del burrone, dove lo aspettano i suoi amici, e vediamo emergere da sotto il quetzalcoatlus con l’uomo nel becco come un passero con un verme.
Divertimento immediato a parte, Jurassic World – La rinascita ha aspetti positivi e negativi. La cosa di gran lunga più interessante è il suo aspetto apertamente metanarrativo (ossia, di una narrazione che rimanda a se stessa). Il film si svolge in un mondo in cui: a) i dinosauri stanno morendo (tranne quelli nella zona equatoriale dove si recano illegalmente i protagonisti); b) comunque lo spettacolo dei dinosauri non interessa più a nessuno. Una volta c’era la fila, adesso vendiamo dodici biglietti in una settimana, dice a un dipresso il curatore del museo. Il punto a) ha un valore metaforico, il punto b) è un’invenzione diegetica, entrambi ci parlano dell’esaurimento della serie Jurassic. Dopo la sorpresa epocale del film di Spielberg del 1993, e dopo i primi sequel, il concetto aveva cominciato a mostrare la corda (non per niente il titolo del presente film è uno speranzoso Jurassic World Rebirth).
Un grave demerito di Jurassic World – La rinascita è la prevedibilità delle caratterizzazioni (per inciso, è lo stesso difetto che si ritrova quest’anno in F1 – Il film di Joseph Kosinski). Jurassic World – La rinascita si basa su un doppio gruppo protagonista. Il primo è un team che si reca clandestinamente nell’isola per estrarre il DNA di tre generi di dinosauri vivi (manco a dirlo, i più pericolosi) allo scopo di fabbricare un prodotto farmaceutico contro l’infarto – la solita Big Pharma, per intenderci. È un gruppo di characters prevedibili ai limiti dell’autoparodia: la bella mercenaria tough as nails (peraltro nel ruolo Scarlett Johansson è brava), lo studioso supercompetente ma impacciato che si rivela eroico, il capitano nero scafato, la carogna a prima vista che lavora per la ditta farmaceutica, più due tre personaggi che servono fondamentalmente come carne da dinosauro.
Nota in margine: perché questa prevedibilità non ci disturba, e anzi ci piace, nei film avventurosi di serie B in bianco e nero o nel lussuoso Technicolor degli anni Cinquanta – mentre ci dà un certo fastidio oggi? Ma perché il cinema d’oggi, per così dire, ha mangiato il frutto del bene e del male. Con la morte dei B movies ha rinunciato alla sua ingenuità.
Il secondo gruppo, che incrocia la strada del primo, è una famiglia di naufraghi (padre, due figlie e fidanzato della figlia maggiore), che serve a poco più che a scappare, piangere, correre e volersi bene, provvedendo una storia secondaria in montaggio parallelo con la prima. Andrebbe studiata nelle scuole di sceneggiatura, come esempio negativo, l’incredibile caratterizzazione iniziale del fidanzatino stronzetto, che poi tira fuori la sua umanità. È un tocco di sceneggiatura di una goffaggine imperdonabile, al punto che facciamo il tifo per i dinosauri che vogliono mangiarselo. Parimenti è imperdonabile l’orrida trovata disneyana del dinosaurino cute che si affeziona alla figlia minore. Questo secondo gruppo viene precipitato nella trama praticamente senza giustificazione: cosa ci fanno questi quattro sprovveduti californiani con la loro barchetta a vela nel tratto di mare più pericoloso della terra? Al tempo del cinema classico, che era molto logico (su un piano illusorio, ma lo era), lo sceneggiatore avrebbe dedicato dieci secondi di film a fornire una spiegazione: metti, sono incappati in una tempesta che ha messo fuori uso gli strumenti di bordo e sono finiti fuori rotta.
Un tratto spiacevole del film è che commette lo stesso errore degli scienziati sperimentatori del prologo. Questi scienziati (e qui, naturalmente, siamo ancora nel campo metanarrativo) cercavano di creare nuovi dinosauri transgenici perché, come sentiamo nel film, la gente era stufa dei soliti dinosauri. Poi è andata male e i dinosauri mutanti sono stati abbandonati sull’isola evacuata. Quindi i nostri eroi devono vedersela con dinosauri mutanti non esistiti nella storia del mondo – i quali entrano in scena in particolare nel gran finale.
In primo luogo, questo è deludente perché il concetto base dell’intera serie non è “uomini contro mostroni più o meno dinosaureschi” ma è “uomini contro dinosauri, punto”. Dritti dritti dal Giurassico, e col bollino di garanzia di una loro storicità (almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze). I realizzatori avrebbero dovuto imparare dai film di insetti giganti degli anni Cinquanta: la mantide gigante grande come un palazzo di sei piani è appunto una mantide. Vero è che Jurassic World (Trevorrow, 2015) già presentava un superdinosauro geneticamente modificato; ma fondamentalmente era un tirannosauro più grosso.
Punto secondo, e questo è il guaio peggiore, questo “nuovi” mostri saranno pure cattivissimi ma non hanno nessuna attrattiva visiva. I sauri col becco da passero e la pappagorgia che si comportano come velociraptor? Il gigante Distortus Rex che sembra un T-Rex con una gran bozza sulla fronte? Suonano finti, artificiosi, immaginari qual sono, e in ultima analisi un po’ ridicoli. Morale: la Natura aveva più stile dei realizzatori in CGI del film.

Nessun commento: