lunedì 26 maggio 2025

Paternal Leave

Alissa Jung

Ci sono certi padri, che è meglio perderli che trovarli (scusate l’anacoluto). Uno di questi è Paolo, che quando la fidanzata tedesca Anna è rimasta incinta si è dato alla fuga senza più farsi sentire. Ora la figlia Leo (Leonia) ha 15 anni e all’insaputa della madre va a cercarlo in Italia, nel film tedesco/italiano “Paternal Leave” di Alissa Jung.
Il primo approccio con Paolo, infuriato e spaventato da questa irruzione del passato nella sua vita (ora ha una fidanzata e una bambina), è quasi da antropologa, o da entomologa: un’“intervista” con una serie di domande preparate in anticipo. Poi però i sentimenti rabbiosi e inespressi vengono fuori.
Immerso in ambienti romagnoli volutamente tristi, “Paternal Leave” ha un grande merito: ci dà un bellissimo ritratto di adolescente, con la prodigiosa giovanissima Juli Grabenhenrich che sul piano interpretativo non sbaglia un colpo. Lei non è una che le manda a dire: fra la “poker face” adolescenziale e una certa rigidezza teutonica (anzi: adolescenzial-teutonica), è un personaggio memorabile, il cui dolore è privo di qualsiasi sviolinata patetica. Dall’altro lato, Paolo, interpretato da Luca Marinelli, è una figura che conosciamo molto bene dal cinema italiano dei Cinquanta e dei Sessanta, da Risi, Salce, Monicelli, Pietrangeli (la interpretava splendidamente Alberto Sordi): il mediocre nato, bugiardo, autoindulgente, vittimista, sempre pronto a piangersi addosso (vedi il discorso di Paolo sull’essere rimasto psicologicamente “paralizzato”) e sempre propenso a dare la colpa agli altri.
Ma mentre nel “realismo cinico” dei film italiani degli anni Sessanta il personaggio sarebbe rimasto nella propria grettezza, qui invece arriva, improvviso come un UFO, un finalino consolatorio con volate poetiche (il funerale del fenicottero).

(Messaggero Veneto)

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