Alissa Jung
Ci
sono certi padri, che è meglio perderli che trovarli (scusate
l’anacoluto). Uno di questi è Paolo, che quando la fidanzata
tedesca Anna è rimasta incinta si è dato alla fuga senza più farsi
sentire. Ora la figlia Leo (Leonia) ha 15 anni e all’insaputa della
madre va a cercarlo in Italia, nel film tedesco/italiano “Paternal
Leave” di Alissa Jung.
Il
primo approccio con Paolo, infuriato e spaventato da questa irruzione
del passato nella sua vita (ora ha una fidanzata e una bambina), è
quasi da antropologa, o da entomologa: un’“intervista” con una
serie di domande preparate in anticipo. Poi però i sentimenti
rabbiosi e inespressi vengono fuori.
Immerso
in ambienti romagnoli
volutamente tristi, “Paternal
Leave” ha un grande merito: ci dà un bellissimo ritratto di
adolescente, con la
prodigiosa
giovanissima Juli
Grabenhenrich che
sul piano interpretativo non sbaglia un colpo. Lei
non è una che le manda a
dire: fra la “poker face” adolescenziale e una certa rigidezza
teutonica (anzi: adolescenzial-teutonica), è un personaggio
memorabile, il cui dolore è privo di qualsiasi sviolinata patetica.
Dall’altro lato, Paolo,
interpretato da Luca
Marinelli, è una figura che
conosciamo molto bene dal cinema italiano dei
Cinquanta e dei Sessanta, da
Risi, Salce, Monicelli, Pietrangeli (la
interpretava splendidamente Alberto Sordi):
il mediocre nato, bugiardo,
autoindulgente, vittimista, sempre pronto a piangersi addosso (vedi
il discorso di Paolo sull’essere rimasto psicologicamente
“paralizzato”) e
sempre propenso a dare la colpa agli altri.
Ma
mentre nel “realismo cinico” dei film italiani degli anni
Sessanta il personaggio sarebbe rimasto nella propria grettezza, qui
invece arriva, improvviso come un UFO, un finalino consolatorio con
volate poetiche (il funerale del fenicottero).
(Messaggero
Veneto)
Nessun commento:
Posta un commento