martedì 20 maggio 2025

I peccatori

Ryan Coogler

Potrebbe essere il miglior film di vampiri degli ultimi anni, originale e insieme classico, I peccatori (Sinners), scritto e diretto da Ryan Coogler (attenzione: questa recensione contiene importanti spoiler). La vita e la condizione dei neri americani si sono rivelate singolarmente adatte per la carica metaforica del fantastico: basta ricordare l’importante nome di Jordan Peele. I peccatori realizza un affresco vivace e affollato del mondo dei neri del Sud degli Stati Uniti fra le due guerre (siamo in Mississippi nel 1932), richiamando sia la grande corrente della letteratura nera americana – a partire da Richard Wright – sia film come Il colore viola di Steven Spielberg e, ancor più, Mississippi Adventure di Walter Hill: che introduceva nella storia di un musicista blues il tema diabolico (e il blues era “la musica del diavolo”, come tuonavano i predicatori). Prima del realismo della parte iniziale, già in apertura il film introduce l’elemento soprannaturale con un discorso sulle proprietà magiche della musica folklorica e popolare in tutto il mondo, sia in senso positivo sia in senso negativo (attira i demoni).
Eccellente anche nella fotografia di Autumn Durald e nel montaggio di Michael P. Shawver, I peccatori presenta una ricchezza di tessitura, una costruzione incisiva dei personaggi anche minori e minimi, una capacità di “fissare” gli eventi (vedi l’episodio della ragazzina incaricata di sorvegliare il camion). Il ritmo del film, come la colonna sonora curata da Ludwig Göransson, varia da sognante a violento e incalzante, con una preferenza per quest’ultimo tono.
Tornati nel Mississippi rurale da Chicago, dove si dice abbiano lavorato per Al Capone, i durissimi gemelli Smoke e Stack (Michael B. Jordan in una doppia parte) acquistano un edificio isolato in campagna per aprire un juke joint per neri, un locale dove bere, mangiare, giocare d’azzardo, ballare, ascoltare la musica nera, amoreggiare, e insomma peccare, grande soddisfazione in un mondo in cui la realtà quotidiana è la miseria del lavoro nei campi sterminati di cotone. Per peccare ci vuole il blues, e i gemelli arruolano il loro giovane cugino Sammie (Miles Caton), chitarrista ribelle al padre predicatore, e il vecchio Slim (Delroy Lindo). Ci sono osservazioni molto interessanti sull’economia povera dei neri (i buoni della piantagione al posto dei dollari, le monete di legno). Il film si sofferma sulla cultura magica nera, le pratiche hoodoo, rappresentata da Annie (Wunmi Mosaku), moglie abbandonata di Smoke, nonché, con uno sguardo franco, sulla sessualità. Infatti, all’interno della pagina corale della festa di apertura, vediamo il breve Bildungsroman erotico del giovane Sammie, che farà in tempo ad avere la sua iniziazione sessuale con la cantante Pearline (Jaime Lawson), la bella della festa. Intanto Stack ritrova l’ex fidanzata mulatta Mary (Heilee Steinfeld).
Su tutto questo si stende l’ombra del Ku Klux Klan, ma anticipando la minaccia dei bianchi, a film inoltrato torna in scena l’elemento fantastico. Come annunciato all’inizio, arriva il diavolo, nelle sembianze di tre vampiri di pelle bianca che si avvicinano cantando: il loro leader Remnick (Jack O’Connell), che è irlandese, e due sue vittime. Ciò non comporta una deviazione dalle attese o la sensazione di uno spostamento di genere; anzi, mantiene quell’aspetto di truce leggenda che è insito nell’universo del blues.
I tre bianchi non vengono fatti entrare, con un passaggio di dialogo memorabile: “Mi hanno fatto paura” – “I bianchi di notte fanno questo effetto” – “No; c’era qualcosa di più”. Ma non si allontanano e restano a strimpellare lì vicino. I peccatori si potrebbe quasi definire un musical horror per la compenetrazione del racconto con la musica. La splendida colonna sonora è fondamentale nel film, non in sé o perché accompagna l’azione, ma perché è letteralmente inscritta nell’azione. Anche il testo delle canzoni rispecchia allusivamente la situazione come in un musical. Esempio: quando Mary esce dall’edificio per parlare con i misteriosi tre, questi stanno cantando una delicata melodia che fa “Verrai, fanciulla, verrai?”, e vedendo avvicinarsi Mary la donna del trio intona “Oh l’estate è arrivata”.
La bizzarria dei vampiri musicisti, che cantano in coro con movimenti all’unisono, non è un travestimento. Tutti i personaggi nel film, tanto i neri quanto i vampiri, sono creature musicali (quello che i bianchi del Mississippi non sanno essere, ironizza a un certo punto Slim). Inoltre, poiché tutti i vampiri sono mentalmente connessi fra loro, quando in seguito il leader Remnick canta una ballata irlandese, i vampirizzati, neri che erano venuti alla festa, quasi che anche loro provenissero dall’Irlanda gli fanno coro e ballano con lui.
La narrazione prende come architrave quella caratteristica della tradizione letteraria vampirica che vuole che il vampiro non possa entrare per la prima volta in una casa se non viene invitato. Di conseguenza, mentre i vampiri, divenuti una folla, girano intorno all’edificio (cantando!), il film assume le caratteristiche narrative dell’assedio; e anche a livello visuale rende evidente omaggio a La notte dei morti viventi di George A. Romero. Si potrebbe dire che è la chiusura di un cerchio: La notte dei morti viventi (al pari del precedente L’ultimo uomo della Terra di Sidney Salcow) si ispirava a I Am Legend di Richard Matheson, ma trasformava i vampiri di quel romanzo in morti ambulanti, ben presto chiamati zombi. Ora questo film riporta i vampiri nella situazione.
Anche un altro riferimento cinematografico appare assai chiaro. Quando il gruppo assediato dei sopravvissuti comincia a sospettare che si nasconda tra loro un vampiro, l’esperimento con l’aglio organizzato da Annie ci riporta al classico racconto Who Goes There? di John W. Campbell jr., da cui La cosa da un altro mondo di Hawks/Nyby e più tardi La cosa di John Carpenter.
La situazione orribile e dolorosa del ritorno dei morti che chiedono ai loro congiunti di lasciarli entrare è un topos del genere fin dal romanzo Dracula di Bram Stoker (e dal precedente La Famille du Vourdalak di Alexej Tolstoj), quindi molto visto, ma il film riesce a mantenere il suo effetto inquietante grazie alla tensione del racconto. In questo assedio i vampiri usano tutti i mezzi per farsi invitare dentro, dalle minacce alle lusinghe. Remnick, che proviene da una comunità sottomessa nella sua isola quale quella irlandese, cerca di propone ai neri il vampirismo come un’alleanza fra emarginati e un’utopia di libertà e fraternità. Poiché i vampiri sono connessi telepaticamente e tutti sanno tutto, anche i dettagli più intimi, quello che sa il marito cinese sulle preferenze sessuali di sua moglie lo sa anche Remnick che lo ha vampirizzato, e lo ricorda beffardamente a lei – che è fra gli assediati – parlando in cinese; e poi passa a minacciare di vendicarsi sulla loro figlia rimasta a casa.
Dopo il culmine cataclismico dell’assedio, il film sviluppa la sua conclusione con una serie di apparenti finali logicamente concatenati (di cui uno, non narrativo ma poetico, compare dopo i titoli di coda). In conclusione viene trasmesso quell’elemento nostalgico ed elegiaco che, al di là dell’orrore, ci rendiamo conto che attraversa in filigrana il film. Ed è impossibile non commuoversi su un dettaglio che merita di essere segnalato… come dirlo senza un ennesimo spoiler?… ecco: bisogna fare attenzione al nome del gruppo che suona il blues, sullo sfondo di una di queste scene a fine film.

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