Pascal Bonitzer
Ha
sempre il suo fascino un film sul ritrovamento di un dipinto, specie
se ispirato a una storia vera, come il francese Il
quadro rubato di Pascal Bonitzer, importante critico (Cahiers
du cinéma) passato da
diversi anni
alla sceneggiatura e alla
regia. Inizia
con un quadretto fulminante. Una vecchia cattivissima signora cieca
(è l’ultranovantenne Marisa Borini, la madre di Valeria Bruni
Tedeschi) vende il suo dipinto più prezioso perché non vuole che lo
erediti sua figlia che ha troppi amici neri. Quello che non vede è
che la sua governante è nera anche lei.
Questo
ci introduce nel mondo del commercio delle opere d’arte. Una
modesta famiglia
operaia scopre di possedere un tesoro: un famoso dipinto di Egon
Schiele che si credeva perduto. I nazisti, che sequestravano gli
esempi di “arte degenerata”, lo avevano regalato a un loro
collaborazionista, ora morto, dal quale la famiglia ha
acquistato
(con dentro molte
cianfrusaglie) la casa in
cui abita.
Non
ci si aspetti però una riflessione sul vero e il falso:
l’autenticità del dipinto è fuori discussione. Intorno a questo
gigantesco affare, ruotano le vite di due antieroi che inizialmente
sono ben poco simpatici: André (Alex Lutz), alto dirigente di una
casa d’aste, un solitario arrogante che non pensa che al lavoro, in
guerra fredda con la sua stagista Aurore (Louise Chevillotte), una
bugiarda compulsiva con traumi familiari insuperati (questa a dire la
verità resta antipatica per tutto il film, ma è un parere
personale). A comporre il trio protagonista, l’unica normale è
Bertina, ex moglie di André e tuttora suo deus ex machina in
servizio permanente. La interpreta Léa Drucker, la migliore in
campo.
Il
cinema francese ha una lunga tradizione, ereditata dal teatro, di
messa in scena sicura e di elegante svolgimento della vicenda. Anche
qui, i dialoghi e i battibecchi, la buona scansione delle entrate e
delle uscite, il montaggio competente assicurano uno spettacolo
piacevole. Stranamente, il limite sta nella sceneggiatura scritta
dagli sperimentati Bonitzer e Iliana Lolic: alcune ingenuità, come
una tentata truffa in cui André casca troppo facilmente (infatti poi
dice “Avrei dovuto capirlo”, mostrando un accenno di coda di
paglia dello sceneggiatore), o forzature, come la scena della rissa
dei due giovani operai davanti al quadro, che è il punto peggiore
del film. Ma la descrizione del vortice economico che gira intorno ai
capolavori avvince, e l’asta finale ha lo stesso slancio di quando,
nei film western, “arrivano i nostri”.
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