sabato 17 maggio 2025

Il quadro rubato

Pascal Bonitzer

Ha sempre il suo fascino un film sul ritrovamento di un dipinto, specie se ispirato a una storia vera, come il francese Il quadro rubato di Pascal Bonitzer, importante critico (Cahiers du cinéma) passato da diversi anni alla sceneggiatura e alla regia. Inizia con un quadretto fulminante. Una vecchia cattivissima signora cieca (è l’ultranovantenne Marisa Borini, la madre di Valeria Bruni Tedeschi) vende il suo dipinto più prezioso perché non vuole che lo erediti sua figlia che ha troppi amici neri. Quello che non vede è che la sua governante è nera anche lei.
Questo ci introduce nel mondo del commercio delle opere d’arte. Una modesta famiglia operaia scopre di possedere un tesoro: un famoso dipinto di Egon Schiele che si credeva perduto. I nazisti, che sequestravano gli esempi di “arte degenerata”, lo avevano regalato a un loro collaborazionista, ora morto, dal quale la famiglia ha acquistato (con dentro molte cianfrusaglie) la casa in cui abita.
Non ci si aspetti però una riflessione sul vero e il falso: l’autenticità del dipinto è fuori discussione. Intorno a questo gigantesco affare, ruotano le vite di due antieroi che inizialmente sono ben poco simpatici: André (Alex Lutz), alto dirigente di una casa d’aste, un solitario arrogante che non pensa che al lavoro, in guerra fredda con la sua stagista Aurore (Louise Chevillotte), una bugiarda compulsiva con traumi familiari insuperati (questa a dire la verità resta antipatica per tutto il film, ma è un parere personale). A comporre il trio protagonista, l’unica normale è Bertina, ex moglie di André e tuttora suo deus ex machina in servizio permanente. La interpreta Léa Drucker, la migliore in campo.
Il cinema francese ha una lunga tradizione, ereditata dal teatro, di messa in scena sicura e di elegante svolgimento della vicenda. Anche qui, i dialoghi e i battibecchi, la buona scansione delle entrate e delle uscite, il montaggio competente assicurano uno spettacolo piacevole. Stranamente, il limite sta nella sceneggiatura scritta dagli sperimentati Bonitzer e Iliana Lolic: alcune ingenuità, come una tentata truffa in cui André casca troppo facilmente (infatti poi dice “Avrei dovuto capirlo”, mostrando un accenno di coda di paglia dello sceneggiatore), o forzature, come la scena della rissa dei due giovani operai davanti al quadro, che è il punto peggiore del film. Ma la descrizione del vortice economico che gira intorno ai capolavori avvince, e l’asta finale ha lo stesso slancio di quando, nei film western, “arrivano i nostri”.

Nessun commento: