lunedì 10 febbraio 2025

Il mio giardino persiano

Maryam Mogaddham e Behtash Sanaeeha

L’anziana Mahin vive nella solitudine. L’incontro con il vecchio Farandaz, uno sconosciuto, si trasforma in amore. Nulla di più umano, ma il regime dell’Iran non l’ha perdonata ai due autori de “Il mio giardino persiano”, che ora devono vedersela coi tribunali. Nota che in questo rapporto è la donna che prende l’iniziativa: abominio per i barbuti.
Gli interpreti Lili Farhadpour ed Esmail Mehrabi sono magnifici (spiace di non poter elogiare allo stesso modo il doppiaggio). Esile ma grazioso, il film è realistico nell’ambientazione e quasi surreale nel suo modo di concentrare un’esperienza di vita (dal primo incontro al girarsi intorno al corteggiamento all’innamoramento reciproco) nel breve giro di una parte d’una notte. Si rischia che questa accelerazione appaia un po’ implausibile. Ma gli autori non vogliono descrivere il normale decorso di un amore bensì un’esplosione di sentimenti in una società iper-compressa, un’eruzione vulcanica che rompe la crosta del terreno. In questo senso il film è fortemente simbolico (ed è questo che brucia al regime).
C’è una scena in cui la feroce Polizia Morale arresta due ragazze col velo non a posto; una, Mahin riesce a farla liberare. Ma tutto il film è attraversato da un filo rosso politico e anti-regime, con i ricordi di un un passato migliore (la ragazza alla vecchia Mahin: “Lei in fondo è fortunata. Prima della rivoluzione si vestiva come voleva”), l’amore per la musica “antica”, il ricordo di “quando vietarono l’alcool” e l’elogio del vino. Che già il persiano Hafez cantava! E infatti possiamo vedere una metafora dell’Iran nel “guardino persiano” di Magin: dove si soffre la mancanza dell’illuminazione, però “il terreno è sano e pulito”. Una speranza, anche se per riempirlo bisogna ricorrere ad alberelli (o momenti di vita) rubati
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(Messaggero Veneto)

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