Tim Fehlbaum
September
5 – La diretta che cambiò la storia (sottinteso: della tv) non è
direttamente un film sull’attentato dei terroristi palestinesi che
alle Olimpiadi di Monaco del 1972 sequestrarono e assassinarono i
membri della squadra olimpica israeliana, bensì sul suo coverage da
parte della troupe locale della tv americana ABC: una redazione
sportiva che si trovò a gestire il primo caso di terrorismo
trasmesso in diretta (900 milioni di spettatori!). La tragedia
attraverso gli occhi dei cronisti.
Nel
cinema di una volta, se l’argomento era un gruppo di giornalisti
che devono seguire la cronaca di un disastro, il film si prendeva
dieci minuti di preparazione per fissare le psicologie nella mente
degli spettatori e familiarizzarli coi personaggi. Questo, September
5 non lo fa. Nella coproduzione tedesco-americana diretta dallo
svizzero Tim Fehlbaum (che pure ha ottenuto una nomination all’Oscar
per la miglior sceneggiatura), come personaggi tridimensionali
emergono solo l’interprete tedesca Marianne Gebhardt e lo head of
control room (siamo dovuti andare a
cercarcelo su Wikipedia) Geoff
Mason, anche
grazie alla bravura dei due
attori, Leonie
Benesch e
John Magaro.
Tuttavia,
per una sorta di eterogenesi dei fini, questo difetto del film
risulta nel complesso funzionale al film stesso, che intende mettere
in primo piano un lavoro, un’attività: la macchina di
(ri)produzione della notizia. E questo con la “pesantezza manuale”
di cinquant’anni fa: le didascalie preparate a mano, le corse da
una stanza all’altra per comunicare, una pesante telecamera dello
studio che l’emergenza fa trascinare fuori all’aperto, col suo
bravo cavo alimentatore.
September
5 contiene dunque una doppia suspense: quella dell’attentato
(l’oggetto) e quella della diretta tv che lo racconta (il
soggetto). Tutta la parte “procedurale” sulla ripresa tv è il
vero cuore del film. Non manca (in corrispondenza oggettiva con
l’inettitudine bumbling dei tedeschi) il paradosso per cui, mentre
la diretta televisiva mostra l’immagine dei poliziotti in agguato
sui tetti, quella stessa immagine appare sul televisore che i
terroristi stanno vedendo dove si sono asserragliati. “È stata
colpa nostra?” chiede uno del gruppo ABC quando l’operazione di
polizia viene abortita. Lo sguardo del responsabile dice di sì. Qui
c’era spazio per una problematica, ma il film non la tocca al di
là di un paio di scene un po’ anodine.
I
film oggi non sono sempre tesi ed emozionanti come vorrebbero. Qui,
una regia funzionale fino alla piattezza dialoga con un ottimo
montaggio nervoso e restituisce bene il senso dell’urgenza, il
dolore dell’orrore in atto (molto bello il momento finale in cui si diffonde la voce falsa che gli ostaggi sono salvi), l’orgasmo di un lavoro da fare, la
dimensione febbrile del tempo: che si fondono a rendere il film, pur
non un capolavoro, degno di una visione.
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