Jacques Audiard
“Non
c’è ragione nell’opera”: ruberemo
questa battuta alla Callas di Maria di Pablo Larraín qualora
ci
appaia
implausibile
il bel film di Jacques Audiard Emilia Pérez. Implausibile
lo è, certo; era
nato
proprio come
libretto d’opera in
un vecchio progetto del regista. Narrato
con energia quasi febbrile (non
per nulla Audiard è l’autore
de I fratelli Sisters),
è
un
audace
mix
musical-mélo-gangsteristico,
ove
spesso
i personaggi si
esprimono
cantando con
contorno di coreografie.
O
meglio, il loro è
per
lo più un
cantato-parlato,
un “recitar cantando”; chi scrive avrebbe preferito canzoni da
musical in senso stretto ma questa è un’’opinione del tutto
minoritaria.
Siamo
in Messico;
un’avvocata infelice perché sfruttata sul lavoro dal
suo capo,
Rita (Zoe Saldana), riceve – in
un modo inquietante che tocca il rapimento – un’offerta
dal
più
temuto
boss
del narcotraffico: il
ricchissimo
e sanguinario Manitas intende
non solo scomparire ma diventare donna, come ha sempre desiderato.
Molto ben pagata, Rita lo aiuta in questa trasformazione. Abbandonati
all’estero
la
moglie Jessi (Selena
Gomez)
e i due figli
bambini, Manitas finge
la propria
morte e diventa
Emilia Pérez. Nella
doppia
parte
troviamo la
brava attrice
transgender Karla Maria Gascón, già
attiva
in passato nelle
telenovelas messicane (una delle fonti di questo film).
Passano
quattro anni. Struggendosi
per la
mancanza dei
figli,
Emilia
torna
in Messico. Sempre
con l’aiuto di Rita, fonda
con Rita una
ONG
per ritrovare i corpi dei desaparecidos vittime dei cartelli della
droga messicani e
restituirli ai parenti; che
i cartelli criminali non si intromettano, e
che
il governo messicano
non
scopra nulla su questa donna misteriosa, rimane il punto veramente
implausibile
del film; ma tutto
si perdona al film grazie al suo impeto (vedi sopra). In
quest’attività
benefica
Emilia
troverà
anche
l’amore
di Epifania
(Adriana
Paz).
Ma per prima cosa, fa
ritornare
nel paese Jessi
e i bambini, spacciandosi per una
cugina
di Manitas, e
li porta ad
abitare presso la
“zia Emilia”.
Com’è
naturale questa
finisce
per essere una
prigione dalle
sbarre dorate, con
la “zia” che non nasconde un atteggiamento da genitore verso i
bambini.
Il
rapporto tragicamente complicato tra Emilia
e Jessi,
in un perverso gioco di identità, muove la seconda parte, la
migliore, del film. Costretta
a fingere che la cosa non la riguardi direttamente, Emilia getta lo
sguardo sul rapporto di se stesso come marito con Jessi, che aveva un
amante e ora
lo
ha ritrovato. Davanti
all’ipotesi che Jessi lo
sposi e
se ne vada
portando con sé i bambini, sotto Emilia Pérez
rispunta
la
ferocia del
vecchio Manitas.
Apertosi
sul peccato di Rita, che nel suo mestiere di avvocato ha fatto
assolvere un uxoricida, e implicitamente sui tanti peccati del boss
Manitas, Emilia Pérez è un problematico film sulla redenzione.
Giacché in relazione al film è stato (troppo) citato Almodóvar,
non
quello asciutto de La stanza accanto ma quello rutilante degli anni
passati, vogliamo ripescare
un suo titolo singolarmente adatto: La pelle che abito. C’è ancora
Manitas dentro la piel que habita; la transizione di genere non basta a a cambiare l’anima,
e a cancellare il peccato. Lo
capisce, unico fra i personaggi, il chirurgo ebreo Wassermann
(Mark
Ivanir),
voce ammonitrice. L’antico concetto del cambio di identità come passaporto per una
nuova vita è reso più radicale dal cambio di sesso ma resta soggetto alla lezione del
cinema noir e
dei grandi melodrammi d’antan:
non
si sfugge al passato.
La
redenzione verrà, ma per un’altra,
aspra
strada. Il potente climax
del film, più che
Almodóvar,
fa venire in mente quel
grandissimo regista messicano, ancora troppo poco conosciuto in
Italia, che è Arturo Ripstein. La
processione finale, con la statua di Emilia portata in processione e
un inno dolente cantato da Epifania, è un alto momento musicale e
melodrammatico che effettivamente fa venire le lacrime agli occhi. Da
criminale a santa (o divinità pagana, che è lo stesso), la
redenzione avviene attraverso l’ignoranza dei
fatti (Epifania come tutti ignora la verità di Emilia e il suo canto
parla anche del suo “mistero”) –
ma è redenzione.
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