Tim Mielants
A
un certo punto di Piccole cose come queste un bambino povero, disperato
perché non ha ricevuto il regalo di Natale che desiderava, sfonda
con un pugno la crosta di
ghiaccio in un secchio immergendo
la mano nell’acqua
gelata.
Una
sensazione simile la
provoca il film di Tim
Mielants sui
soprusi delle suore irlandesi
(non diciamo
nell’Ottocento ma
nel
secolo scorso) nelle
case-convento per ragazze
orfane o “immorali”, le
case Magdalene.
Gli
amanti
del
cinema ricorderanno un film di Peter Mullan del 2002 con quel
titolo.
1985:
il
carbonaio Bill, che soffre
per antiche
ferite interiori, incontra
nel convento del suo villaggio una ragazza incinta sottoposta a
crudeli maltrattamenti, chiusa di notte nella legnaia gelida. Lei si
chiama Sarah come la madre di Bill, una ragazza madre salvatasi
da un nero
destino grazie a una ricca
benefattrice. Nella
coscienza di Bill si
scontrano da
un lato l’omertà del paese
(dove
le suore sono una
potenza),
approvata
da sua
moglie, dall’altro la
compassione e l’onestà.
Non a caso, l’atto di lavarsi le mani sporche – giustificato dal
racconto perché
Bill fa il carbonaio – ricorre più volte, con significato
simbolico. La fotografia di
Frank van den Eeden che
tiene il primo
piano a
fuoco e il resto fuori
fuoco, come
nei vecchi film, serve
all’atmosfera di claustrofobia (non
fisica ma morale).
Il
film si impernia su due notevoli
interpretazioni. Quella molto sfumata di Cillian Murphy (Bill) rende
bene l’autentica
paura che lui prova in presenza della madre superiora suor Mary. Dal
canto suo Emily Watson crea con suor Mary un memorabile ritratto di
perfidia
nascosta. La scena in cui, a colloquio con Bill, fa
un discorso di ipocrita bontà e di larvata minaccia, concluso
con una bustarella travestita da regalo di Natale, è la scena madre
del film.
(Messaggero
Veneto)
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