sabato 9 novembre 2024

Megalopolis

Francis Ford Coppola

Il 2024 ha visto l'uscita di due film importanti, nonché flop colossali. Il primo è l'“eroico suicidio” di Joker: Folie à Deux di Todd Phillips – che sul piano artistico è più bello del precedente Joker, ma sul piano commerciale era a tal punto destinato al fallimento che sembra impossibile non sia stato fatto apposta. Il secondo ovviamente è Megalopolis: A Fable di Francis Ford Coppola.
Se muoio, tu finirai questo film – e se muori anche tu, lo farà Lucas”. Questa ingiunzione da patriarca biblico, o da eroe di John Huston, che Coppola rivolge a John Milius sul set di Apocalypse Now, dice tutto. È addirittura offensivo pensare a Megalopolis come a un film riassuntivo di fine carriera. A parte che Megalopolis è un suo vecchio progetto di sempre, la tendenza di Coppola al gigantismo, la sua volontà di sorpassare il cinema della propria epoca (le “citazioni” in Megalopolis più che omaggi sono cannibalizzazioni), la sua sperimentazione continua, tutto ciò non è un frutto della vecchiaia ma l'anima coppoliana di sempre. Parlando, anni fa, proprio di Apocalypse Now Massimo Caprara definiva Coppola come l'ultimo dei grandi registi visionari di Hollywood (Griffith, von Stroheim, Welles). E sui suoi progetti Coppola è disposto a scommettere la camicia: la sua storia produttiva è una storia di trionfi e rovinose cadute, come Un sogno lungo un giorno – che con Megalopolis ha qualcosa in comune. Coppola è genio solitario, costruttore/distruttore, profeta. La sua figura, il Grande Artefice visionario, si rispecchia nell'architetto Cesare Catilina, che vuole costruire la città del sogno per tutti; ed è (quasi) inutile ripetere che alla base c'è l'architetto de La fonte meravigliosa, sorto prima che nel cinema di King Vidor dalla fantasia anarchica di Ayn Rand.

Megalopolis – il cui sottotitolo A Fable riporta la passione di Coppola per la favola e il mito – si articola su due linee base. La prima è la grande metafora con cui l’America d’oggi si fonde con l’antica Roma (un’idea che nella sua semplicità spettacolare ha qualcosa di cormaniano, se ci va di evocare gli esordi del regista). Nel film, quel concetto di crisi e caduta della civiltà occidentale che ha sempre ossessionato Coppola si pettina con la frangetta dei romani. C’è un vero divertimento del Coppola sceneggiatore nel tracciare corrispondenze (Clodio, il travestimento e lo scandalo della Bona Dea). I nomi/personaggi sono scelti con accuratezza, confermando “l’intrinseca letterarietà che regola l’opera di Coppola nell’insieme” (Franco La Polla). Soprattutto è importante notare che il protagonista, interpretato da Adam Driver, non si chiama Catilina ma Cesare Catilina: non semplicemente l'aspirante eversore della (corrottissima) Repubblica romana, l'uomo contro il quale Cicerone pronunciò le Catilinarie (qui puntualmente citate), ma anche l'autentico eversore di quella Repubblica, colui che passò il Rubicone – e fece bene (del resto, se leggiamo Sallustio, vediamo che i rapporti fra Cesare e Catilina erano tutt’altro che indifferenti, benché abilmente nascosti).
Lo scontro fra il costruttore Cesare Catilina e il sindaco Cicerone è lo scontro fra l'amministratore della quotidianità e l'artista geniale e incontrollabile. Coppola nella sua opera ama ragionato per opposizioni. L’oggi in lotta contro il domani, il buon senso quotidiano contro l'utopia – ma, direbbe Coppola, in un momento di crisi in cui l’oggi sta crollando, solo l'utopia del domani indica la salvezza.

La seconda linea base di Megalopolis, che corre all’interno della prima, quasi nascosta nelle sue pieghe, è un discorso vagamente metafisico sul tempo. Coppola ha sempre nutrito una fascinazione verso il tempo e il futuro. “Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”, dice famosamente Dracula a Mina, entro un concetto di reincarnazione; nel tempo viaggia materialmente la protagonista di Peggy Sue si è sposata; un viaggio simbolico nel fiume del tempo, non solo sul piano geografico, è quello di Apocalypse Now Redux; il tempo corre e uccide in Jack; ma pensiamo anche alla complessa tessitura temporale de Il padrino – Parte II. È quasi disperata la domanda, che risuona in Megalopolis, di “costruire un futuro per noi”. Ora, l’architettura e la politica sono precisamente due modi di modellare il tempo costruendo il futuro. Questo è il nodo dello scontro fra Cicerone e Catilina. Su questo Coppola innesta un’idea sorprendente (ma discutibile): Catilina possiede una sorta di superpotere, quello di fermare il tempo a piacimento in segreto.

La monumentalità formale che contraddistingue Coppola, vero figlio della New Hollywood, è ben riconoscibile in Megalopolis. Coppola come autore ha una concezione totalizzante del cinema, una concezione wagneriana (gesammelte Kunstwerk) che gli viene dall'amato Ejzenštejn. Ma è, la realizzazione, pari alla grandezza del progetto? Si sarebbe, temo, imbarazzati a rispondere di sì. Beninteso, a onta dei molti che si sono affrettati a liquidarlo, Megalopolis è un film fascinoso, una grande esperienza sulla quale spesso torneremo con la memoria. Sarebbe sleale obiettare che è meglio un Coppola disordinato che un Muccino ordinatissimo. Ma certamente Megalopolis è un grande film flawed: un grande film fallato (che non significa fallito). Il titanismo della concezione, del grande disegno, non si rispecchia in un corrispondente titanismo delle singole pagine. Ma la contraddizione principale è un’altra, ed emerge nella dualità delle due linee generatrici del film. Quella capacità che ha Catilina di intervenire sul tempo (“Time, stop!”) a mia opinione rende confusa l'architettura della metafora. La metafora di Megalopolis si realizza attraverso un semi-realismo che male si accorda all'irrealismo fiabesco della dote segreta di Catilina. Il modo in cui essa è esposta è allo stesso tempo (no pun intended) troppo debole per dare sufficiente rilevanza alla seconda linea base del film e troppo forte per non incidere sulla metafora. Si crea una discrasia che danneggia il film – anche se, come vedremo, quella dote misteriosa torna utile a Coppola per un bel finale.


Infatti, Megalopolis è Metropolis. Il capolavoro di Fritz Lang è un modello (inarrivabile) per il film di Coppola. Lo può suggerire anche un dettaglio minimo come le statue allegoriche che si animano – ove Coppola può essersi ricordato delle statue della Cattedrale in una delle pagine meno note del gran film langhiano. Dettagli a parte, però, è il concetto base a unificare i due film.
Metropolis di Lang si fonda sulla contraddizione fra Capitale e Lavoro. Ma alla fine questa contraddizione si risolve in una conciliazione (qui entra in gioco l'ideologia “nazionale” di Thea von Harbou, che per inciso non piaceva a Lang; ma il film è quello). Dalla conciliazione nasce il mondo futuro, l'alleanza delle forze produttive alte e basse, che è simboleggiato dall’unione (desessualizzata) tra Freder e Maria.
Megalopolis di Coppola si articola a sua volta su una contraddizione. I suoi due protagonisti maschili, il sindaco e l'architetto, rappresentano, come già detto, l'Amministrazione e l'Utopia (mi preme dire che – “germanicamente” per Lang, “langhianamente” per Coppola – non si tratta della rappacificazione fra due individui bensì della sintesi dialettica di due concetti ipostatizzati in due individui – anche se Coppola è più americano di Lang nella preoccupazione di vestirli di carne realistica). Non per nulla Cicero ammonisce Catilina che l'utopia facilmente si rovescia in distopia. Ma l'ultima scena rappresenta una conciliazione fra questi opposti, che trova la sua espressione nelle parole del sindaco. In entrambi i casi la riconciliazione avviene dopo un disastro, in Metropolis la rivolta e l'inondazione, in Megalopolis l’esplosione violenta del trumpismo (Coppola è chiarissimo nel connettere le folle agitate da Clodio alla folla trumpiana che invase il Campidoglio nel gennaio 2021).
Chi ha trovato che questo accordo finale – del quale va notata la solennità – entri male nel contesto e indebolisca il film, a mio parere non ha capito il senso dell'opera. In Megalopolis più che in Metropolis (et pour cause, essendo in quel film la visione della sessualità connessa alla “falsa Maria” diabolica), la grande conciliazione viene confermata attraverso il corpo e il sangue: la nascita di una bambina (che calma il dolore di Catilina risarcendo la scomparsa della sua prima moglie): la fondazione di una famiglia che riunisce gli opposti nell’unione fra Cesare Catilina e la figlia di Cicerone, Julia – il cui nome porta in sé la promessa di una dinastia.
Proprio a questo punto torna utile a Coppola quella che continuo però a ritenere una disfunzione del film, la capacità di fermare il tempo. Nel finale, infatti, quando Catilina ferma il tempo l'ultima immagine ci mostra la bambina che si muove; su di lei la dote di Catilina non ha efficacia; che ciò sia importante, Coppola lo sottolinea chiudendo in iride sulla piccola. La centralità finale di questa bambina a sua volta padrona del tempo… una bambina che rappresenta fisicamente la sintesi degli opposti e un’America nuova (“E giustizia per tutti” inscritto nella solennità del marmo)... non fa pensare, più in piccolo, a un altro bambino che rappresentava il futuro – e compariva solennemente alla fine di 2001: Odissea nello spazio?


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