sabato 16 novembre 2024

Il gladiatore II

Ridley Scott

Giacché invecchiando Ridley Scott è calato in forza e capacità… “La voce del cantor non è più quella”… è stata per lui una buona idea tornare ad abbeverarsi all’antica fonte (non che funzioni sempre: pensiamo ai ritorni ad Alien); così ci ha dato Il gladiatore II, il suo miglior film da anni (dove, per inciso, già dispongono bene i titoli di testa di Pierluigi Toccafondo). Non è un cupo capolavoro come Il gladiatore del 2000, di cui è il sequel; ma è convincente e suggestivo. Certo, i tratti fondamentali che caratterizzavano il grande cinema di Ridley Scott appaiono solo in forma residuale. Il gladiatore era un dramma di ispirazione quasi shakespeariana e insieme una riflessione sul vedere. Qui siamo a un livello più basso.
Il sistema coloristico del film non ha l’agghiacciante coerenza (con i blu al posto dei rossi) del primo Il gladiatore. Scott però se ne ricorda in alcuni momenti: molto bello il salto di colore fra l’assolata città numidica e il grigiore temporalesco della flotta romana in avvicinamento; la battaglia che segue è una delle pagine migliori. Peccato che il protagonista Paul Mescal non valga Russell Crowe – sicché soffre nella vicinanza con l’ottimo Denzel Washington, che gli ruba invariabilmente la scena. O anche la sperimentata Connie Nielsen.
Arnone (Paul Mescal) è un guerriero della Numidia che vede morire la moglie arciere in battaglia contro i Romani; è logico che li odi, in particolare nella persona del generale Acacio (Pedro Pascal). Dopo la sconfitta diventa schiavo e gladiatore sotto l’ambizioso Macrino (Denzel Washington), che sogna addirittura l’Impero. Ma che qualcosa non torni nella nazionalità di Arnone, lo capiamo già all’inizio, quando in un discorso ai guerrieri numidi saccheggia Tacito ed Epicuro; più tardi, da gladiatore vittorioso, reciterà Virgilio in faccia ai due ignorantissimi imperatori. Infatti sul trono, al posto di Commodo, ora c’è un mostro doppio: la sadica coppia gay degli psicopatici imperatori gemelli Caracalla e Geta (Fred Echinger e Joseph Quinn).
Naturalmente nella realtà non erano neanche gemelli, per non dir del resto; ma la rievocazione storica del film è del tutto immaginaria. Non c’è ragione di preoccuparsene; anche il primo Gladiatore aveva un atteggiamento supremamente sfacciato nei riguardi della storia. Nel presente film, è delizioso vedere il senatore Thraex che aspetta la spia al tavolino di un bar (d’accordo, taberna) leggendo una specie di quotidiano; più tardi, assistiamo a una seduta del Senato storicamente folle, ma divertentissima.
Semmai spiace di più quando Il gladiatore II entra in contraddizione con se stesso. Nel film, perfino un graffito osceno che vediamo di sfuggita su un muro (“Irrumabo”: l’ispirazione non viene da Pompei ma da Catullo) è, giustamente, in latino; quindi è assurdo che sia in inglese l’iscrizione sopra la tomba dell’eroe Massimo Decimo Meridio del primo film.
Con bei tocchi visuali, come una Roma notturna popolata di homeless, con i classici giochi di potere e tradimenti e inevitabili agnizioni, Il gladiatore II ci offre da un lato un tocco di piacevole melodramma in puro stile peplum, dall’altro (ecco il suo pezzo forte) deliranti e spettacolari combattimenti nell’arena – citiamo solo la naumachia (battaglia navale) nel Colosseo allagato, con aggiunta di squali. Sono così belli da farci pensare che è un bene che esista il cinema per offrirceli senza bisogno di averli dal vero. Perché, ammettiamolo, le nostre emozioni guardandoli sono le stesse del pubblico romano sulle gradinate.

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