Ridley Scott
Giacché
invecchiando Ridley Scott è calato in forza e capacità… “La
voce del cantor non è più quella”… è stata per lui una buona
idea tornare ad abbeverarsi all’antica fonte (non che funzioni
sempre: pensiamo ai ritorni ad Alien); così ci ha dato Il gladiatore
II, il suo miglior film da anni (dove, per inciso, già dispongono
bene i titoli di testa di Pierluigi Toccafondo). Non
è un cupo capolavoro come Il gladiatore del 2000, di cui è il
sequel; ma è convincente e suggestivo. Certo, i tratti fondamentali
che caratterizzavano il grande cinema di Ridley Scott appaiono solo
in forma residuale. Il gladiatore era un dramma di ispirazione quasi
shakespeariana e insieme una riflessione sul vedere. Qui siamo a un
livello più basso.
Il
sistema coloristico del film non ha l’agghiacciante coerenza (con i
blu al posto dei rossi) del primo Il gladiatore. Scott però se ne
ricorda in alcuni momenti: molto bello il salto di colore fra
l’assolata città numidica e il grigiore temporalesco della flotta
romana in avvicinamento; la battaglia che segue è una delle pagine
migliori. Peccato che il protagonista Paul Mescal non valga Russell
Crowe – sicché soffre nella vicinanza con l’ottimo Denzel
Washington, che gli ruba invariabilmente la scena. O anche la
sperimentata Connie Nielsen.
Arnone
(Paul Mescal) è un guerriero della Numidia che vede morire la moglie
arciere in battaglia contro i Romani; è logico che li odi, in
particolare nella persona del generale Acacio (Pedro
Pascal).
Dopo la sconfitta diventa schiavo e gladiatore sotto
l’ambizioso Macrino (Denzel Washington), che sogna addirittura
l’Impero. Ma che qualcosa non torni nella nazionalità di Arnone,
lo capiamo già all’inizio, quando in un discorso ai guerrieri
numidi saccheggia Tacito ed Epicuro; più tardi, da gladiatore
vittorioso, reciterà Virgilio in faccia ai due ignorantissimi
imperatori. Infatti sul trono, al posto di Commodo, ora c’è un
mostro doppio: la sadica coppia gay degli psicopatici imperatori
gemelli Caracalla e Geta (Fred Echinger e Joseph Quinn).
Naturalmente
nella realtà non erano neanche gemelli, per non dir del resto; ma la
rievocazione storica del film è del tutto immaginaria. Non c’è
ragione di preoccuparsene; anche il primo Gladiatore aveva un
atteggiamento supremamente sfacciato nei riguardi della storia. Nel
presente film, è delizioso vedere il senatore Thraex che aspetta la
spia al tavolino di un bar (d’accordo, taberna) leggendo una specie
di quotidiano; più tardi, assistiamo a una seduta del Senato
storicamente folle, ma divertentissima.
Semmai
spiace di più quando Il gladiatore II entra in contraddizione con se
stesso. Nel film, perfino un graffito osceno che vediamo di sfuggita
su un muro (“Irrumabo…”: l’ispirazione non viene da Pompei ma
da Catullo) è, giustamente, in latino; quindi è assurdo che sia in
inglese l’iscrizione sopra la tomba dell’eroe Massimo Decimo
Meridio del primo film.
Con
bei tocchi visuali, come una Roma notturna popolata di homeless, con
i classici giochi di potere e tradimenti e inevitabili agnizioni, Il
gladiatore II ci offre da un lato un tocco di piacevole melodramma in
puro stile peplum, dall’altro (ecco il suo pezzo forte) deliranti e
spettacolari combattimenti nell’arena – citiamo solo la naumachia
(battaglia navale) nel Colosseo allagato, con aggiunta di squali.
Sono così belli da farci pensare che è un bene che esista il cinema
per offrirceli senza bisogno di averli dal vero. Perché,
ammettiamolo, le nostre emozioni guardandoli sono le stesse del
pubblico romano sulle gradinate.
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