Viggo Mortensen
Qual è il tema
fondamentale del western? La giustizia, materializzata nella pistola
appesa al fianco (cioè la possibilità di uccidere istantaneamente),
che o crea il torto o afferma il diritto. Non c’è giustizia invece
nel buon western The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono, che
Viggo Mortensen ha scritto, diretto, musicato, nonché interpretato
con Vicky Krieps. Olsen e Vivienne si trasferiscono nel Nevada per
lavorare onestamente. Ma in paese spadroneggia il potente Jeffries e
suo figlio Weston (Solly McLeod), uno psicopatico che da lui
protetto, terrorizza tutti. Quando Olsen si arruola nella guerra di
secessione, Weston prende a perseguitare Vivienne… Inutile svelare
il seguito, anche se il racconto è anacronico, va avanti e indietro,
e parte – non senza potenza – dalla morte di lei.
Lo hanno già scritto
tutti: questo è un western “al femminile” (non un'assoluta
novità come pure è stato detto), centrato sulla figura di Vivienne.
Interessante la sua definizione a partire da un'infanzia nel Québec
modellata dalle storie su Giovanna d'Arco (però sono una pessima
idea le inquadrature immaginarie del cavaliere medievale nel bosco,
girate in modo realistico). Tutti i western implicano due
modelli narrativi, diciamo l'Eneide e le Georgiche, quello guerriero
(il viaggio, la vendetta, la conquista) e quello quotidiano e agreste
(la colonizzazione) – di cui il secondo è generalmente subordinato
al primo. Vale anche per il presente film; ma alcuni dettagli rendono
in modo assai efficace l'aspetto quotidiano, come gli alberi
trapiantati e i fiori attorno alla capanna. E la cura del bambino
naturalmente. Con una buona messa in scena, interpretazioni convinte,
e una bella fotografia di Marcel Zyskin, il pessimistico The Dead
Don’t Hurt si inserisce dignitosamente fra i western
“revisionisti”. Il modello non è Clint Eastwood come qualcuno ha
detto ma I cancelli del cielo di Michael Cimino (anche se ovviamente
il film non si avvicina a quel capolavoro).
Sul piano della
verosimiglianza psicologica ci sarebbe molto da dire, prima su
Vivienne che – con motivazioni “femministe” assai novecentesche
– cerca lavoro al saloon e poi su Olsen che follemente la lascia
sola per andar soldato, il tutto in un film dove Solly McLeod
praticamente va in giro con una scritta al neon sopra la testa che
dice “Sono la carogna potentissima del paese”. Era
psicologicamente più fondato un altro simil-western con un villain
psicopatico, uscito l'anno scorso, La terra promessa di Nikolaj
Arcel, con Mads Mikkelsen.
La
seconda parte, interlineata alla prima sul piano narrativo, segue
Olsen e il bambino in viaggio dopo la morte di Vivienne. Resta nella
memoria, in questa parte, una bella scena in cui padre e figlio
bivaccando sentono ululare un lupo e per gioco si mettono a ululare
insieme.
La
giustizia, come dicevamo, non sta di casa in questo film dove
spadroneggiano il boss spietato, il sindaco corrotto e l'assassino
in libertà. John Wayne avrebbe fatto piazza pulita e avrebbe vinto;
Clint Eastwood avrebbe fatto piazza pulita e si sarebbe fatto
ammazzare; comunque tutti i malvagi avrebbero morso ila polvere.
Invece Olsen, lungo il film, rappresenta la figura dell'“uomo che
se ne va” (e meno male che Weston lo segue per ammazzarlo,
altrimenti se la sarebbe cavata pure lui). È
chiaro che in un western questo lascia l’amaro in bocca… ma
saremo gli ultimi a dire che non sia realistico.
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