sabato 4 giugno 2022

Alcarràs

Carla Simón

Nel capolavoro di Čechov Il giardino dei ciliegi si parla con dolore di un giardino che sta per essere abbattuto soggiacendo alle forze della speculazione. Alla fine dell’opera risuonano i colpi di scure. Alcarràs di Carla Simón (vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino) è un Giardino dei ciliegi contadino e contemporaneo: un film di fiction, ma che contiene elementi autobiografici della regista e co-sceneggiatrice (con Arnau Vilaró).
I coltivatori di Alcarràs, in Catalogna, sono rovinati dalla grande distribuzione che paga la frutta metà di quel che costa produrla. La famiglia Solé coltiva a pesche un grande terreno di proprietà dei Pinyol, in seguito a un accordo verbale tra i vecchi delle due famiglie, nato da un atto di riconoscenza. Ma non c’è mai stato un contratto scritto, e ora il giovane erede Pinyol vuole distruggere il frutteto per gettarsi nel nuovo business dei pannelli solari, abbattendo gli alberi (interessante contraddizione: l’ambientalismo contro la natura). Qui la nostra reazione di spettatori è di dolore e rabbia, per un mondo che il film ci ha insegnato a sentire come la nostra casa.
Poiché questo è il tratto centrale di Alcarràs: un’autenticità stupefacente, un’immediatezza anche sensoriale (il vino, i pomodori, le pesche, i conigli che corrono fra gli alberi, il misto di odori della campagna). Esci dal cinema dopo aver visto Alcarràs e le immagini della realtà che incontri – metti, una mamma con due bambini, oppure, in terra, una fila di formiche – creano come un'impressione di continuità, un cortocircuito di appartenenza con quello che hai visto nel film.
Interpretato da non professionisti dei villaggi della zona, il film dipinge un affresco familiare profondamente vero di personalità e relazioni, nella vita quotidiana e nelle sue lotte generazionali, con i giovani che si sentono repressi; a partire – attraverso il personaggio della piccola Iris – dal quadro di un'infanzia felice in mezzo alla campagna (destinata a perdersi come tutto; la prima cosa a sparire è l’auto abbandonata dove giocava coi cuginetti, portata via da una gru come inizio dei lavori). Su tutto questo si abbatte la crisi; in fondo, possiamo vedere un aspetto metaforico nel frammento di western che la famiglia guarda alla televisione, con una hacienda attaccata da banditi incendiari. Questa crisi produce come una radiografia della famiglia nelle sue diverse reazioni, a partire dall’offerta di lavorare ai pannelli solari. Intenso, minimale, quasi documentaristico, Alcarràs ci mostra che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella strada che, come civiltà, abbiamo preso.  

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