venerdì 3 giugno 2022

Top Gun: Maverick

Joseph Kosinski

All’inizio di Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski, il protagonista – che in tutti questi anni non ha fatto carriera – fa parte di un progetto per raggiungere Mach 10 con un caccia; ma il generale Cain vuole terminare il progetto perché vuole il suo budget per il proprio programma sui droni. Così Maverick (Tom Cruise) si spinge agli estremi limiti per raggiungere l’obiettivo prima del tempo.
L’inizio dunque pone una opposizione fra uomo (il pilota) e macchina (il drone). E infatti più in là nel film un altro pezzo grosso della Marina dice fuori dai denti a Maverick che il tempo dei piloti è finito (risposta: forse… ma non subito). Questa opposizione perdura per tutto il film, anche anteponendo la pianificazione al computer di un attacco all’istinto del pilota (e qui c’è l’arrière pensée che in fondo i piloti sono sacrificabili). Quando Maverick (chiamato a preparare la mission impossible di un attacco a una centrale atomica illegale, iperprotetta, in un imprecisato stato canaglia) insegna ai suoi allievi a non pensare nel momento culminante della decisione, “Se pensi sei morto”, in realtà sta mettendo al primo posto il fattore umano, l’istinto che nasce dall'abilità (questo film americanissimo non ne parla, ma ciò coincide perfettamente con la concezione del buddhismo zen in merito).
Allargando questo concetto, forse oltre misura, c’è la tentazione di trarne un'analogia con il film stesso. Top Gun: Maverick è un film molto umano, rispetto all’attuale cinema al computer, basato su calcoli di marketing astratti, psicologie plastificate, movimento incessante che pretenderebbe fare ritmo, dittatura della CGI (per tutto questo, cfr. la decadenza della saga Jurassic). In Top Gun: Maverick ci sono ancora dei tipi psicologici e c’è ancora uno svolgimento sui sentimenti (il piacevole gioco sentimentale con Jennifer Connelly). Niente di bergmaniano, si capisce, ma abbastanza per riconoscere le tracce di un cinema che, almeno a livello di blockbuster, è sempre più raro, al punto di avere un inconfondibile sapore d’antan.
Naturalmente Top Gun: Maverick è facilitato dal programma di volersi costruire come duologia assieme al Top Gun originario di Tony Scott, col quale instaura un abile gioco di sovrimpressioni di momenti-immagine (simboleggiati definitivamente dalla foto finale). Ma non cade nella trappola del sequel-remake. Se nel primo Top Gun, un film della giovinezza (dove tra l’altro un tipico atto da maverick di Maverick era corteggiare la sua insegnante), la questione era “chi è più bravo”, in questo, che è un film sulla maturità, salgono in primo piano questioni di responsabilità, presente e passata. Ancora, mentre il primo era un film sulla bravura, il secondo è anche un film sul corpo – la sua fatica nel sopportare accelerazioni impossibili (per superare, durante la missione, la “montagna della morte”).
Chiaramente qui entra la questione di Tom Cruise, che è quasi magicamente giovane, sia a livello di personaggio (col suo sorriso da impunito) sia di eccellente interprete. E’ uno shock vedere nel film il suo incontro col suo coetaneo ed ex rivale, ora generale, Ace (Val Kilmer), invecchiato e malato (anche l’attore!), che sembra suo padre – ed ha le funzioni protettive di un padre, avendo difeso l’indisciplinato Maverick negli anni, e ora indicandogli la strada nei suoi turbamenti morali: “Lasciar andare”. E’ un tema, quello della paternità, che per forza di cose era assente nel primo film e che spunta prepotentemente nel secondo con il personaggio di Rooster (Miles Teller). Sulle corse in moto, gli strappi alla disciplina, le fughe dalla finestra delle signore, insomma sull’allegra incoscienza giovanile di Maverick si stende la sensazione del tempo che passa, com’è giusto in un film sulla nostalgia e sulla responsabilità.
Ma il discorso non sarebbe completo senza riconoscere il perdurare di uno spirito americano quasi western (ricordiamo che il primo film si concludeva con due aerei che si allontanavano insieme, come due cavalli liberi in un film western). Ora, è solo dannata coincidenza (il Covid), ma questo film concluso nel 2019 e che doveva uscire nel 2020 esce nell’anno di guerra 2022. Così nel presente film colpiscono le immagini dello “stato canaglia” innominato: sono frondosi paesaggi innevati (l’ispirazione era la Corea del Nord?) anziché quelli caldi e desertici che siamo abituati ad aspettarci in questi casi. Inevitabilmente richiamano alla memoria un altro stato canaglia, più grande. Gli anni passano – ma c’è sempre bisogno di un Top Gun.

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