venerdì 15 ottobre 2021

Titane

Julia Ducournau

Il vincitore della Palma d'Oro all'ultimo festival di Cannes, l'eccentrico Titane di Julia Ducournau, è la storia di un incrocio e di una metamorfosi. Da bambina, Alexia (Agathe Rousselle) rimane ferita in un grave incidente d'auto e le viene inserita una placca di titanio nel cranio (nota che titane in francese è il titanio ma anche la forma femminile di Titan: i Titani, i feroci giganti ribelli della mitologia greca che diedero l'assalto al cielo). Uscendo dall'ospedale Alexia accarezza e bacia un'automobile: è già una fusione: ora è in parte metallica e ama il metallo. Se bene intendo l'insistenza iniziale del film sul piercing, Ducournau vuole dirci che come razza umana stiamo già andando verso una progressiva integrazione fra la carne e il metallo: Alexia è solo qualche passo avanti.
La ritroviamo cresciuta in veste di ballerina (con una spaventosa cicatrice sulla tempia): è una delle ballerine che portano una carica di erotismo danzando e dimenandosi sopra le auto di un'esposizione. Il rapporto erotico tra carne nuda e metallo non da oggi è un punto fisso della nostra cultura. Sessualità più automobili! Di nuovo, Alexia fa solo un passo avanti: nuda, nella notte, fa sesso con un'automobile – i particolari fisici restano imprecisati – restandone incinta.
A questa bizzarra linea narrativa se ne unisce un'altra: Alexia è una serial killer (in una sequenza carica di humour nero, massacra un gruppetto di giovani sulle note di “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli). Ricercata, dopo aver incendiato la casa dei suoi genitori con loro dentro, si deforma crudelmente il volto (Julia Ducournau è una regista terribilmente fisica; è un suo pregio) e assume un'altra identità, fingendosi Adrien, il figlio – sparito da bambino – di Vincent (Vincent Lindon), che in conseguenza è mezzo impazzito e si droga. Vincent è il comandante di un corpo di pompieri che appaiono clamorosamente gay (quest'aspetto non è spiegato, ma rientra nel discorso sulla fluidità di genere cui Ducournau tiene molto) e arruola “Adrien” nel gruppo. Lei nasconde, fasciandosi dolorosamente, la sua strana gravidanza metallica, che produce olio di macchina dalla vulva e dai seni. Il film nel suo sviluppo definitivo diventa un gioco a rimpiattino fra due ossessioni, le pulsioni omicide oltre che di autodifesa di Alexia e l'ossessione paterna di Vincent.
Come già si vedeva nel precedente Raw, è caratteristica di Julia Ducournau una evidente debolezza sul piano della sceneggiatura, con buchi e patenti illogicità (qui, Alexia che è ricercata ma nessuno menziona, o nota, la sua cicatrice; Vincent che rifiuta l'esame del DNA sul figlio ritrovato – perché se no il plot andrebbe a darsi benedire). Tuttavia, questa regista possiede un'energia fanatica nella messa in scena, che sopperisce ai limiti di sceneggiatura – anche se ciò lascia gli spettatori su un crinale, onde tanto gli estimatori quanto i detrattori non sono senza argomenti.
In questo senso è vicina alla logica piuttosto astratta del fumetto. Chi scrive non ha idea di come sia la biblioteca di Julia Ducournau; ma scommetterebbe che contiene la collezione completa di Métal Hurlant: perché il racconto di Titane assomiglia molto alle fantasie grafico-narrative della rivista di fumetti francese.
Ad essere sinceri, Titane apparirebbe migliore se non esistesse già il cinema di David Cronenberg (il finale poi è un trionfo della cronenberghiana “nuova carne”). Ma quell'energia selvaggia lo fa apprezzare al di là dei suoi limiti.


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