Julia Ducournau
Il vincitore della
Palma d'Oro all'ultimo festival di Cannes, l'eccentrico Titane
di Julia Ducournau, è la storia di un incrocio e di una metamorfosi.
Da bambina, Alexia (Agathe Rousselle) rimane ferita in un grave
incidente d'auto e le viene inserita una placca di titanio nel cranio
(nota che titane in francese è il titanio ma anche la forma
femminile di Titan: i Titani, i feroci giganti ribelli della
mitologia greca che diedero l'assalto al cielo). Uscendo
dall'ospedale Alexia accarezza e bacia un'automobile: è già una
fusione: ora è in parte metallica e ama il metallo. Se bene intendo
l'insistenza iniziale del film sul piercing, Ducournau vuole dirci che
come razza umana stiamo già andando verso una progressiva
integrazione fra la carne e il metallo: Alexia è solo qualche passo
avanti.
La ritroviamo cresciuta
in veste di ballerina (con una spaventosa cicatrice sulla tempia): è
una delle ballerine che portano una carica di erotismo danzando e
dimenandosi sopra le auto di un'esposizione. Il rapporto erotico tra
carne nuda e metallo non da oggi è un punto fisso della nostra
cultura. Sessualità più automobili! Di nuovo, Alexia fa solo un
passo avanti: nuda, nella notte, fa sesso con un'automobile – i
particolari fisici restano imprecisati – restandone incinta.
A questa bizzarra linea
narrativa se ne unisce un'altra: Alexia è una serial killer (in una
sequenza carica di humour nero, massacra un gruppetto di giovani
sulle note di “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli).
Ricercata, dopo aver incendiato la casa dei suoi genitori con loro
dentro, si deforma crudelmente il volto (Julia Ducournau è una
regista terribilmente fisica; è un suo pregio) e assume un'altra
identità, fingendosi Adrien, il figlio – sparito da bambino – di
Vincent (Vincent Lindon), che in conseguenza è mezzo impazzito e si
droga. Vincent è il comandante di un corpo di pompieri che appaiono
clamorosamente gay (quest'aspetto non è spiegato, ma rientra nel
discorso sulla fluidità di genere cui Ducournau tiene molto) e
arruola “Adrien” nel gruppo. Lei nasconde, fasciandosi
dolorosamente, la sua strana gravidanza metallica, che produce olio
di macchina dalla vulva e dai seni. Il film nel suo sviluppo
definitivo diventa un gioco a rimpiattino fra due ossessioni, le
pulsioni omicide oltre che di autodifesa di Alexia e l'ossessione
paterna di Vincent.
Come già si vedeva nel
precedente Raw, è caratteristica di Julia Ducournau una
evidente debolezza sul piano della sceneggiatura, con buchi e patenti
illogicità (qui, Alexia che è ricercata ma nessuno menziona, o
nota, la sua cicatrice; Vincent che rifiuta l'esame del DNA sul
figlio ritrovato – perché se no il plot andrebbe a darsi
benedire). Tuttavia, questa regista possiede un'energia fanatica
nella messa in scena, che sopperisce ai limiti di sceneggiatura –
anche se ciò lascia gli spettatori su un crinale, onde tanto gli
estimatori quanto i detrattori non sono senza argomenti.
In questo senso è
vicina alla logica piuttosto astratta del fumetto. Chi scrive non ha
idea di come sia la biblioteca di Julia Ducournau; ma scommetterebbe
che contiene la collezione completa di Métal Hurlant: perché
il racconto di Titane assomiglia molto alle fantasie
grafico-narrative della rivista di fumetti francese.
Ad essere sinceri,
Titane apparirebbe migliore se non esistesse già il cinema di
David Cronenberg (il finale poi è un trionfo della cronenberghiana
“nuova carne”). Ma quell'energia selvaggia lo fa apprezzare al di
là dei suoi limiti.
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