Ernst Lubitsch
«Gli
interessano solo le porte, è il regista delle porte!»,
protestò Mary Pickford quando con “Rosita” il grande Ernst
Lubitsch venne in America a lavorare per la United Artists. E' vero:
Lubitsch è il regista delle porte. Da un lato rappresentano
materialmente una gestione perfetta delle uscite e delle entrate,
dall'altro l'abilità ironica di fermarsi davanti a una porta chiusa.
Lubitsch è il re dell'ellissi e del sottinteso.
Ambientato fra
l'aristocrazia inglese, è tutto un aprirsi e chiudersi di porte
altissime anche il meraviglioso “Lady Windermere's Fan” (1925),
tratto da Oscar Wilde attraverso un'abile riscrittura di Julien
Josephson. Il cinema di Lubitsch è puro genio nei movimenti, nella
scansione dei piani, nella gestione degli attori, nei chiarissimi
sottintesi; “Lady Windermere's Fan” è un film da manuale come
illustrazione dello stile del regista berlinese fattosi americano.
«Lo
spostamento che in ogni film di Lubitsch smentisce ora il dialogo ora
le immagini, e più spesso entrambi»
(Enrico Ghezzi). Tutto il film si basa sull'uso geniale di barriere
allo sguardo – battenti aperti, siepi e piante, divani, mobilio, o
anche lo stesso bordo dell'inquadratura (la scena famosa delle teste
di tre pettegole che emergono dal basso a turno). Sono barriere che
ingannano i personaggi, distorcendo la loro percezione con esiti
comico-drammatici, ma non lo spettatore, che è in posizione
privilegiata, portato in mano dal regista: perché Lubitsch guarda
l'agitarsi dei personaggi da un'altezza superiore, come gli dei
dell'Olimpo, e ivi trasporta lo spettatore – solo che si ferma con
sottile sarcasmo davanti alle conclusioni, lasciandogliene la
responsabilità. E il filmare in questo stile abilissimo non è solo
ironia, ma può raggiungere picchi di commozione: come mostra la
superba interpretazione di Irene Rich (Mrs. Erlynne) in “Lady
Windermere's Fan”.
Messaggero Veneto
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