M. Night Shyamalan
Il
cinema – per usare una frase continuamente ripetuta – è la morte
al lavoro. Old,
scritto e diretto da M. Night Shyamalan, amplifica questo concetto e
gli dà un significato nuovo, spostandolo dall'evidenza fotografica
per trasferirlo all'interno dello sviluppo narrativo. Purtroppo, pur
contenendo molto di bello, va considerato il tipico bel film non
riuscito, fondamentalmente per ragioni di sceneggiatura, e in
particolare crolla nel finale. Nota bene: un film costruito come Old
si può criticare solo rassegnandosi agli spoiler – quindi la
presente recensione è riservata a chi lo ha già visto.
Alcuni nuovi ospiti di
un resort di lusso sono invitati dal direttore a visitare una
spiaggia isolata, riservata ad ospiti selezionati. Il vecchio
cartello “Off Limits” e gli uccellacci sui rami sullo sterrato
sono già segnali malauguranti agli occhi degli spettatori – ma gli
ospiti, comprensibilmente, sono ben lieti di raggiungere la spiaggia.
Qui però scoprono con orrore che su questa spiaggia il corpo
invecchia in modo paurosamente veloce (mezzora equivale a un anno).
Una possibile teoria esposta nel film comprende il magnetismo
terrestre e la composizione delle rocce. I bambini diventano
adolescenti e poi adulti, gli adulti invecchiano, i vecchi muoiono,
nel giro di due giorni. Non è possibile fuggire: chi prova ad
allontanarsi, via terra o nuotando in mare, sviene (e se è in mare
annega). Intanto qualcuno spia dall'alto del crinale.
Giustamente l'apertura,
con l'arrivo a questo resort lussuoso, ha i colori brillanti di un
filmato pubblicitario. Old parte assai bene, perché l'inizio
lancia diverse allusioni al tema base del film, che è il Tempo. Ad
esempio la protagonista dice a sua figlia lodando la sua voce mentre
canta: “Non vedo l'ora di sentirla quando sarai grande”. Oppure,
in un litigio con suo marito Guy: “Non fai altro che pensare al futuro!” - “E tu al passato... un maledetto museo!”
Chissà poi se tutti si
sono accorti che lo stesso nome della protagonista, Prisca, allude al
tempo che passa (ed è tanto più appropriato che lavori in un
museo). Anche altri nomi posseggono un significato allegorico. Il
marito di Prisca, Guy, replica il concetto di everyman (come
nome comune un guy è “un tizio”). Mentre la bellezza del
gruppo, Crystal, porta nel suo nome il doppio attributo del
cristallo: lo splendore e la fragilità.
La
spiaggia maledetta è dunque una rappresentazione concentrata del
tempo, il grande ladro che ci ruba la vita e con essa la bellezza, la
salute, e tutte le speranze. L'aspetto terribile è appunto
quest'accelerazione. Chiusi in uno spazio esteso ma egualmente
claustrofobico fra rocce e l'acqua (Shyamalan è sempre stato un
maestro nel vivificare in modo inquietante la natura; va detto che
qui la sua mdp appare meno mobile che, per esempio, in The
Village),
i membri del gruppetto si trovano di fronte questo nemico metafisico.
I piccoli nella forma di una crescita dall'infanzia all'adolescenza
all'età adulta in un giorno (il dialogo rende piuttosto bene il
modificarsi della personalità, del modo di vedere le cose; gli
adulti nella forma della decadenza fisica – e Crystal è quella del
gruppo che più è sconvolta dalla perdita della bellezza,
rintanandosi in una caverna.
Appunto per
sottolineare il concetto del tempo come ladro di giovinezza e di
bellezza, Shyamalan ricorre al fascino del corpo femminile in modo
inconsueto nel contesto del neopuritanesimo isterico dei nostri
giorni. Lo si vede nella giovane bionda che all'inizio si spoglia
nuda e si tuffa in mare (è anche una reminiscenza de Lo squalo,
naturalmente, solo invertendo i temi terra/mare e sicurezza/pericolo;
è vero che la morte la coglie in mare, ma per altre cause). Idem,
nell'avvenenza di cui va fiera Crystal, esibita nella sua mise
a colazione e nel suo minuscolo bikini sulla spiaggia. Ma sono
convinto che rientrino in questa logica anche le tre comparse
femminili le cui splendide natiche attirano imperiosamente il nostro
sguardo sulla spiaggia comune del resort.
La coppia formata da
Prisca e Guy è l'unica che, stando accanto ai loro due figli, si
rassegna tristemente all'inevitabile. L'accettazione, quasi
sacrificale, della morte è un tema ricorrente nel cinema di
Shyamalan – come sono suoi temi ricorrenti la famiglia e la
maternità, e in queste scene vediamo “l'invecchiare in un giorno”
di una famiglia, due coniugi e i loro figli, fino a raggiungere una
comprensione reciproca (anche comprensione è parola
shyamalaniana per eccellenza). In una scena toccante che è forse il
vertice del film, Guy, ormai in preda alla senilità, dice a Prisca
che non si ricorda perché avevano litigato, e poi muore. Prisca, che
era rimasta lucida, si allontana dal corpo e dai due figli, fa
qualche passo sulla spiaggia e muore, fuori campo, subito dopo.
Questa concentrazione temporale del passaggio da trentenni decisi a
separarsi a vecchi coniugi nel giro di poche ore è un esempio del
barocchismo di Shyamalan che nella scena citata raggiunge un pathos
prepotente.
Molte
sono le scene riuscite nel film. Cito solo un momento di classico
orrore shyamalaniano, la caduta all'indietro della ragazza che
sviene mentre scala la parete rocciosa. Purtroppo, se c'è molto di
buono, ci sono anche dei difetti che situano Old
piuttosto in basso nella folgorante produzione dell'autore. Già
nello svolgimento sulla spiaggia alcuni aspetti incrinano
spiacevolmente il risultato complessivo. Penso al modo svogliato,
quasi burocratico con cui viene introdotta ex abrupto
la follia del medico. Al modo in cui viene sottoutilizzata la
visione, da parte dei protagonisti, degli osservatori sul crinale. A
un livello più immediato, l'opposizione fra la spiegazione
inevitabile del perché i capelli e le unghie non crescono (si tratta
di materia morta) e il fatto che il figlio della coppia, Trent, da
adulto non sia precisamente glabro ma esibisca una barba di un giorno
che lo rende cool.
Ma queste sono
piccolezze rispetto alla “spiegazione” finale: il gruppo e i suoi
predecessori sono cavie per una compagnia farmaceutica che li manda a
morire sulla spiaggia maledetta per testare medicine loro
somministrate, visto che gli effetti di una intera vita si possono
osservare in un giorni. E' vero che Shyamalan nel suo cinema non può
fare a meno del meccanismo del rovesciamento narrativo, ma questa
soluzione farfetched produce un autentico effetto di
anticlimax. Mi scuso per non conoscere il fumetto Castello di
sabbia di Lévy e Peeters, cui Old è ispirato, ma credo
che la presente soluzione sia tutta del film.
Siamo onesti: non solo
il modo in cui viene propinata ai clienti la medicina da testare (in
dose unica, poi?!) è di una faciloneria inaccettabile, ma tutto
procedimento non regge sul piano della plausibilità. Si capiscono le
esigenze di Big Pharma, ma costruire un finto resort per far
scomparire in serie (73, apprendiamo) intere famiglie con un membro
malato per studiare l'effetto accelerato di farmaci sperimentali...
con il laboratorio vicino al resort chissà perché... è una
complicazione surreale che (similitudine che capiranno gli
appassionati di fumetti) sembra una macchina di Verbeek.
Il
punto non sta mai nell'inventare una situazione fantastica quanto nel
reggerla e nel darne una spiegazione plausibile all'interno del film:
l'invenzione non dev'essere logica in sé, dev'essere accettabile nel
contesto spettacolare, ovvero funzionare come ruota dell'ingranaggio
narrativo – e in questo di solito Shyamalan riesce assai bene (per
questo E venne il
giorno,
che non è meno oltranzista di Old
sul piano dell'invenzione, gli è nettamente superiore). Altrimenti
si perde l'arcinota sospensione volontaria dell'incredulità che è
la condizione di base per qualunque racconto, e ancor più per
qualunque racconto fantastico. In mancanza di ciò, lodare
l'idea senza discutere la bontà della messa in scena equivale a
lodare un prestigiatore per l'ambizione del programma di segare in
due una donna senza ucciderla anziché apprezzare il modo in cui
finge di segarla in due.
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