Fruit Chan
Hong
Kong, città brulicante, dove lo spazio abitativo è prezioso come
l'oro!
Il
grande Fruit Chan ci stupisce ogni volta. Sempre con vivissima
originalità, di solito lavora sulla profondità: le psicologie
disperate da Made in
Hong Kong a
Durian Durian, il
substrato mitico in Three
Husbands, la ricerca
avanguardista sul piano del linguaggio come in Public
Toilet. Invece nel
delizioso Coffin Homes
(presentato in prima mondiale al Far East Film Festival di Udine ed
uscito a Hong Kong questo agosto) l'aspetto della black
comedy e della satira
sfrenata vince su tutto.
Satira
della caotica situazione abitativa di Hong Kong: la sovrappopolazione
è da sempre uno dei temi base del cinema hongkonghese, et pour
cause, è la natura stessa della ex colonia; ben conosciamo i
giganteschi palazzi “formicai” dove si accalca la popolazione. La
loro immagine interlinea il racconto in Coffin Homes – che è
una comica e nerissima lezione sulle pratiche degli agenti
immobiliari e/o dei padroni di casa per tirar fuori il più possibile
dalla fame di alloggi. I primi si impegnano in speculazioni sfrenate
(e concorrenza spietata), tenendo vuoti gli appartamenti in attesa
che il prezzo salga e ricorrendo a trucchi per evitare la tassa sugli
appartamenti sfitti (riempiono i palazzoni sfitti di gente pagata per
accendere le luci di sera in modo che sembrino abitati); i secondi
comprimono gli spazi degli appartamenti fino all'assurdo per
pressarci stare più gente. “Perla d'Oriente? Io direi, Intestino
d'Oriente”, sentiamo sbottare. Il torchio degli affitti si riflette
sulla vita quotidiana: homo homini lupus: il ristoratore al
quale è stato alzato l'affitto cerca di rifarsi imbrogliando sulla
quantità dei noodles e delle polpette di pesce nel brodo, come
mostra una divertente divagazione. Il film sorride – o sogghigna –
su tutti i problemi degli alloggi, dai prezzi impossibili agli spazi
minimi (le “case-bara”), dalle abitazioni sovraffollate (grande
la scena in cui un'intera famiglia accatastata dorme russando, una
vera sinfonia del ronfare in una serie di primissimi piani) alla
rumorosità degli appartamenti, al disturbo degli spettri che li
abitano.
Perché
questo film è una scatenata commedia di fantasmi, e il punto di
partenza è il mercato dei deaths flats, gli appartamenti
“invendibili” perché c'è morto qualcuno e si teme che siano
infestati dal suo spettro, o ghost (a Hong Kong un death
flat va dichiarato per legge). Così Fruit Chan –
sceneggiatore, produttore, regista e montatore del film – ci porta
in una serie di appartamenti infestati, in una storia sorretta da un
abile concatenamento dei personaggi. Vi troviamo ghosts per
tutti i gusti, dal pericoloso macellaio uxoricida e suicida, immerso
nel verde tipico dei film di spettri di Hong Kong, al memorabile
fantasma bambino che è meglio non far arrabbiare, dalla ragazza
defunta triste sotto il suo cappuccio rosso alla terribile vecchietta
morta che massacra i suoi figli in una sequenza iniziale d'un comico
estremismo che lascia sbalorditi. Accanto all'horror tradizionale
cinese abbondano omaggi e citazioni: c'è Sam Raimi, naturalmente,
c'è Shimizu Takashi (Ju-on – The Grudge), una folle scena
di rissa tra ghosts fa pensare a Beetlejuice, ed è
estremamente divertente il rovesciamento di Shining, per cui
stavolta sul triciclo c'è il bambino fantasma. Nota bene, i problemi
abitativi valgono per i viventi come per gli spiriti: a Hong Kong
anche i fantasmi hanno paura di essere sfrattati! Da questa kermesse
affaristico-spettrale risulta un film che riesce ad essere allo
stesso tempo delirante e illuminante.
Fruit
Chan ha un posto di spicco come cantore di Hong Kong (la sua
cosiddetta “trilogia dell'Handover” resta insuperata); e Coffin
Homes è un film quintessenzialmente hongkonghese. E' tutta
hongkonghese questa credenza nei ghosts, che fanno paura ma al
tempo stesso sono considerati una presenza naturale, fanno parte
dell'ordine delle cose (non sono una sua intollerabile violazione
come in Occidente). Di più, nella leggera deformazione ironica il
film inserisce il suo tema della fame di case nel modo di vivere, con
la religione e la superstizione, la legge flessibile e i loan
sharks picchiatori, il cibo, l'affarismo istintivo (“Se non
speculi non sei hongkonghese”), in una parola l'aria che si respira
a Hong Kong – e il linguaggio parlato, col suo dialogo velocissimo,
mitragliato, un'accumulazione di parole che riporta direttamente alla
tradizione della commedia cantonese. Anche nel quadro della satira
Fruit Chan difende innanzitutto la specificità di Hong Kong.
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