domenica 29 agosto 2021

Il gioco del destino e della fantasia

Hamaguchi Ryusuke

Hamaguchi Ryusuke parla spesso del suo amore per Eric Rohmer, e in effetti si può vedere la lezione rohmeriana nel bellissimo Il gioco del destino e della fantasia (Wheel of Fortune and Fantasy), Orso d'Argento al festival di Berlino, ora distribuito nelle sale italiane dalla Tucker Film. Sulle note di Schumann questo film mirabilmente intenso – sceneggiato dal regista – si focalizza sul mondo femminile per esplorare con un'affascinante delicatezza di sguardo l'amore in tre variazioni: imprevisti, casi ipotetici, rimpianti, soprassalti, “intermittenze del cuore”. Il gioco scambievole tra il destino e la fantasia, ovvero il caso e l'immaginazione, governa tre episodi, nella splendida interpretazione di quattro protagoniste femminili (perché l'ultimo è a due); ma vanno elogiati tutti gli interpreti; Hamaguchi ha fra le sue molte doti una particolare capacità di direzione degli attori.
Il discorso amoroso è al centro del film, con un'enfasi particolare sul potere della parola. Il carattere teatrale del film – articolato in lunghi dialoghi – conferma una volta di più che il teatro non è la morte del cinema come crede qualcuno ma può essere un'opportunità. Questa centratura sul dialogo lo accomuna a un altro film giapponese di quest'anno, inferiore se non altro come vastità di orizzonte ma anch'esso assai bello, Sexual Drive di Yoshida Kota. Il gioco del destino e della fantasia s'inserisce nella linea di molto cinema orientale, dal classico Naruse all'Oshima più dialogato, come Notte e nebbia del Giappone, fino a Hong Sang-soo. Il testo ha una costruzione di purezza letteraria, ora evocativa ora sfacciata (lo scambio di battute sui dildo). Anche se c'è qualcosa di bergmaniano in questo scavarsi dentro reciproco, il bellissimo dialogo richiama subito alla mente Rohmer, come s'è detto; ma dire Rohmer vuol anche dire la grande letteratura francese settecentesca. Infatti nel primo episodio si potrebbe ritrovare lo spirito de La notte e il momento di Crébillon fils, sostituendo l'enfasi passionale contemporanea al suo gusto analitico del discorso.
Il raffinato tessuto del dialogo è seguito da una regia nettissima, con uno splendido uso dello spazio (cui non ruiba attenzione una fotografia dai colori piuttosto spenti). Nel primo e nel terzo episodio Hamaguchi è affascinato in particolare dalle vetrate, dalle finestre, dai loro riflessi – mentre fin dal titolo il secondo si gioca su una porta aperta che deve restare tale. Fatta salva l'usuale onnipotenza dello spettatore, che si concretizza nei primissimi piani, abbiamo l'impressione di vedere le scene nel loro svolgersi come se fossimo la famosa mosca sulla parete – e ciò grazie a una regia tanto sobria da sembrare nascosta; ma questa presupposizione viene messa in crisi da inaspettati interventi discorsivi, che nel contesto spiccano come autentiche enunciazioni: come un imprevedibile zoom nel primo episodio, o nel secondo un'improvvisa amplificazione della dialettica del campo/controcampo attraverso forti sguardi in macchina. Per non dire che Hamaguchi sul piano narrativo intrappola il suo stesso realismo consentendosi sorprendenti libertà, come concludere il primo episodio con due finali alternativi (il secondo potrebbe anche essere una fantasia di pentimento), o ipotizzare nel terzo uno scenario “fantascientifico” di alternate reality, in cui nel 2019 un virus ha provocato la fine di Internet e siamo tornati alla posta e al telegrafo.
Il primo episodio vede protagonista una bellissima modella alla quale la sua migliore amica racconta del suo nuovo (possibile) fidanzato; e lei riconosce nelle sue parole l'uomo che da cui si era separata anni prima, di cui forse è ancora innamorata; fa finta di niente – e si precipita da lui. Nel secondo un carognesco ex studente manda la sua amante (una donna sposata, di età superiore alla sua, impopolare e che si sente inferiore) a cercare di sedurre il professore che lo ha bocciato, allo scopo di provocare uno scandalo; nell'incontro – che è una vera e propria lezione di prossemica – la donna si tira indietro sul più bello; però l'ironia del caso deciderà altrimenti. Nel sublime terzo episodio, due donne non più giovani incontrandosi sulle scale mobili credono di riconoscersi, ma è un equivoco: in realtà non sono chi pensavano. E' un paragone alto, ma quest'ultimo episodio può ricordare il Jean Renoir di Partie de campagne nella sua capacità di esprimere con abbagliante naturalezza il tema dell'amore e del rimpianto – chiudendosi peraltro su quella nota ipotetica che caratterizza tutto il film. Entrambe le donne accettano la personalità che non è loro, anzi, vi si calano: è come l'invenzione di un passato possibile; ecco come l'immaginazione e il caso collaborano nella loro ruota eterna. Il gioco del destino e della fantasia mostra come portiamo nell'amore la nostra soggettività, o, detto in termini più netti: nel gioco dell'amore ci inventiamo le persone.

 

1 commento:

elena commessatti ha detto...

Questo film è stato un'epifania per me di un talento che non conoscevo. Film che ha grazia e intensità, che vola e sta dentro la lucidità illogica del discorso amoroso. Condivido il tuo pensiero, e anche io ho pensato a Rohmer e al lessico francese. (e poi l'ho visto in presenza, cioè sotto un cielo stellato in mezzo a tanti ragazzi contenti del ritorno alla vita). Grazie, come sempre, caro professore. Per fortuna che ci sei a Udine e nelle nostre vite. ec