Seki Kazuaki
L'impegnativo
titolo Jigoku-no-hanazono
OFFICE ROYALE
si drappeggia su un film molto intelligente (oltre che terribilmente
divertente) sotto la superficie programmaticamente silly.
Esordio nel lungometraggio di Kazuaki Seki, si ambienta nel mondo
delle OL (Office
Lady),
le impiegate delle grandi aziende, e si articola su due livelli.
Il primo sta nello
spostare il concetto di lotte tra fazioni in ditta fra le impiegate
al di fuori dell'uso metaforico. Lo annuncia bene una gag assai bella
all'inizio: la voce narrante della protagonista Nao dice con calma
che la vita in ufficio può comprendere aspetti di lotta tra fazioni;
è ovvio, pensiamo; e poi vediamo una ragazza scaraventata contro un
armadio che va a pezzi come in un film di kung fu. Non era una
metafora!
Il
film descrive – nelle forme dei film di yakuza “eroica” e dei
jidaigeki
– gli scontri per il dominio del territorio e per il titolo di OL
più forte del Giappone, con l'ascesa di una lottatrice fortissima
che in scontri ultra-fisici (ma senza scomporre la sua aria
tranquilla e mediocremente elegante) sconfigge le avversarie a capo
di gruppi di potere (femminile) e li incorpora nel proprio. Nota che
questa lottatrice fortissima non
è la protagonista Nao, che si limita a guardarla ammirandola e non
partecipa a queste lotte, anzi, lei e le sue due amiche sono il
quadretto della OL “regolare”. Sarebbe uno spoiler spiacevole
descrivere come continua; basti dire che c'è in serbo una grossa
sorpresa. Non manca (ed è una scena geniale) la classica pagina in
cui l'eroina sconfitta va prendere lezioni da una insuperabile
maestra (sensei).
E
gli uomini? Gli uomini compaiono in questo quadro di lotte fisiche
femminili come puri esempi di uomo-oggetto. Aggiungo che quando gli
scontri salgono a un livello superiore alcune delle più temibili
donne combattenti sono comicamente interpretate da uomini en
travesti.
Passiamo ora al
secondo livello del film, quello metanarrativo. Continuamente la voce
narrante (che non è solo quella di Nao) fa riferimenti al fumetto,
ora con l'artificio comico del finto distanziamento (“Sembra un
fumetto”, sentiamo ripetere, con riferimento al “reale” della
diegesi), ora direttamente col richiamo alle regole narrative del
fumetto, ossia disquisendo sul classico ruolo del compagno dell'eroe.
Perché questa è la preoccupazione dei personaggi: sono io l'eroe, o
sono solo il suo compagno? Anche nello scontro finale sentiamo: chi
vince è l'eroe, chi perde è un personaggio di supporto.
Solo che, infine, la
conclusione riprende e supera la metafora sulle “lotte” iniziale.
Geniale.
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