Sylvie Verheyde
A Madame Claude,
tenutaria di un celebre bordello di lusso a Parigi, si era già
ispirato Just Jaeckin, il regista di Histoire d'O, per un film
del 1977. Ora la sua parabola viene narrata da Sylvie Verheyde nel
mediocre Madame Claude: paradossalmente un film con molta
nudità ma poca carne: mantiene l'erotismo patinato e un po' vacuo
del suo predecessore.
E' divertente sentire i
nomi famosi dei clienti delle prostitute d'alto bordo, Kennedy e lo
Scià, Salvador Dali e Marlon Brando (quest'ultimo anche compare, di
schiena). Ma ci sono anche gli intrighi di politica, sesso e droga
delle alte sfere dell'epoca; sono gli anni ruggenti dell'affaire
Marković; si parla di Pompidou (e d'una certa foto di sua
moglie) e in seguito di Giscard d'Estaing. Fernande Grudet, alias
Madame Claude, già collaborava con la polizia per tenersela buona;
poi volente o nolente viene messa in mezzo dai servizi segreti
(“D'ora in avanti lei servirà la Francia”) per tutta una
serievdi manovre sporche – e ciò nel lungo termine porterà alla
sua rovina. Nel finale Fernande, dopo aver perso il suo patrimonio e
aver conosciuto la prigione, è su una panchina davanti al mare, come
una qualunque pensionata, che guarda con occhio professionale una
ragazza come residuo di abitudine dei vecchi tempi.
L'ambizione del film
sarebbe di tracciare un ritratto psicologico della protagonista e
sociologico dell'epoca; in entrambi i campi, non ci riesce. Sylvie
Verheyde ha cercato di riportare in questo film quel modo
impressionistico, tutto fatto di momenti, che aveva adottato nell'ottimo Stella del 2008, ma qui, con un montaggio grossolano che finge di
essere secco e moderno, rimane in superficie.
“Imparai
presto – dice la voce narrante – che gli uomini ci trattano come
puttane, e decisi di diventare la regina delle puttane... Non saremo
mai più vittime”. Questa sorta di femminismo della prostituzione,
alla Xaviera Hollander, è smentito dal comportamento avido e freddo
che vediamo quando una delle ragazze viene picchiata in
un'“imboscata”, e Fernande le chiede per prima cosa se l'hanno
pagata, poi dice che i lividi spariranno e con una doccia e una bella
dormita passa tutto. Ci sarebbe stata materia interessante in questa
figura di donna dura, chiusa, in rotta con la madre e la figlia, che
afferma nella voce narrante di considerare le sue ragazze la sua vera
famiglia. Purtroppo nel film il ritratto psicologico di Madame
Claude risulta di maniera, né lo aiuta l'interpretazione scolastica
di Karole Rocher, che sembra voler imitare senza successo Isabelle
Huppert. Anche la sua amica e collaboratrice Sidonie (Garance
Marillier), che proviene a differenza di Fernande
dalle classi alte, con l'aria supponente che si ritrova è una
iattura per il film.
Come quadro generale,
Madame Claude ci porta con un minimo di convinzione nei locali
notturni coi loro spettacoli di burlesque e più goffamente
nei maneggi dei servizi segreti (possibile, un diplomatico tatuato
nei primi anni '70?). “Ero diventata un'istituzione”, racconta
Fernande; però “Crede di essere al di sopra della legge ma nessuno
lo è”, dice il più disgustoso dei personaggi (il padre di
Sidonie, interpretato da Philippe Rebbot ); e “Sei diventata troppo
spavalda”, l'ammonisce una figura più simpatica, il magnaccia Jo
(Roschdy Zem, l'indimenticabile commissario di Roubaix, une
lumière). Il guaio è che non vediamo mai nel film cosa abbia
fatto Madame Claude di preciso per cadere in disgrazia; certo è in
possesso di informazioni pericolose, come qualsiasi tenutaria di
bordello che si rispetti, ma s'intuisce che non è solo questo, e il
nocciolo rimane oscuro. Alla fine del film, come la sua protagonista,
restiamo con in mano un pugno di polvere.
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