Luc Besson
Russia: una ragazza
sbandata viene raccolta e addestrata dal KGB per farne una spietata
spia-killer. Ricorda Nikita? Luc Besson ha un feticcio – la
bella donna armata – e un tema: la creatura semplice che viene
scaraventata nella logica della violenza (di cui Besson sente
fortissimo il fascino) e la fa sua. Nell'eccellente Anna la
bella Sasha Luss rappresenta la figura in questione e instaura un
rapporto prima di (ringhiosa) collaborazione e poi di complicità con
la dirigente del KGB interpretata da Helen Mirren. Come temibile
veterana dell'organizzazione nemica, matriarca rossa, Helen Mirren è
memorabile: la miglior figura dai tempi di Lotte Lenya (Dalla
Russia con amore) e inoltre meno unidimensionale.
Ben presto Anna
apprende che la ricompensa promessa – la liberazione dopo cinque
anni – è una menzogna. La sua “copertura” in Occidente è il
lavoro di top model (questo è anche un nod all'attività
di Sasha Luss) e il film non manca di una sorta di aspro humour
noir nel mostrare la difficoltà di coniugare le due facce di una
vita scissa. Sia col suo controllore KGB (Luke Evans) sia con la sua
controparte della CIA (Cillian Murphy) Anna avrà una relazione:
metaforicamente, va a letto con Oriente e Occidente; entrambe le
parti, nei loro stili differenti (l'Est preferisce minacciare,
l'Ovest comprare), sono manipolatrici. Tuttavia il principio di
Besson è che gli uomini sono di poco conto rispetto alla forza
femminile.
Film come Nikita
erano declinazioni del genere action: quel genere in cui l'elemento
dinamico, il barocchismo spettacolare del movimento (e della
balistica), la concentrazione isterica del tempo tengono il primo
posto. Orbene, si fa presto a dire cinema di spionaggio, ma vi sono
due filoni assolutamente differenti: quello avventuroso alla 007, poi
sfociato nell'action alla Mission: Impossible, e quello
realistico, che descrive la nebbia d'inganno e ambiguità di quel
mondo. La paranoia è il sottofondo naturale del genere. Se ne
potrebbero fare cento esempi ma il primo che mi viene in mente è un
capolavoro poco conosciuto del cinema francese: Le spie (1957)
di Henri-Georges Clouzot.
Ora, le scene
frenetiche di combattimento dicono che Anna è sicuramente un
action, con la concitazione ultradinamica del genere; e come tutti
gli action tende ad alzare l'asticella: qui, aprirsi la strada
combattendo dal cuore della sede centrale del KGB a Mosca, coi suoi
busti e ritratti di Lenin e Dzeržinskij. E però Anna è
anche tutt'altra cosa: è quel tipo di film di spionaggio in cui
l'enfasi cade sulla verità che cambia continuamente forma. La
“realtà vista” del racconto muta senza posa. Infatti l'aspetto
più rilevante del film è la sua struttura anacronica; il racconto
salta avanti e indietro nel tempo, e ci capita di rivedere la stessa
scena che però ha cambiato significato perché ci sono state fornite
maggiori informazioni, che la ridefiniscono. Tutto ciò non è
prerogativa dell'action, che preferisce svolgersi su un piano di
realtà più definito (anche se non mancano casi in cui l'ambiguità
gioca un ruolo centrale, come Atomica bionda di David Leitch).
Ecco dunque che Luc Besson è riuscito nel compito non facile di
mettere insieme le due correnti, calda e fredda, del cinema
spionistico, con una giunzione di notevole abilità.
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