Gina Prince-Bythewood
Un gruppo di supereroi
senza mantellina e costumi super-kitsch è sempre uno spettacolo
rinfrescante. Li incontriamo nel film di Gina Prince-Bythewood The
Old Guard, che è tratto da una serie a fumetti scritta da Greg
Rucka (anche sceneggiatore del film) e disegnata con ottime scene di
battaglia da Leandro Fernandez. Il film mette in scena un percorso di
scoperta progressiva, con l'apertura che vellica la curiosità degli
spettatori mostrando i protagonisti tutti morti, ammazzati in un
agguato. Non che lo restino a lungo: poiché si tratta di un piccolo
gruppo di guerrieri immortali, che ipso facto ritornano in
vita. Bella, in particolare, la resurrezione della leader del gruppo,
Andy (Charlize Theron): l'occhio sbarrato del cadavere è riflesso
nel pavimento lucido, vediamo la pupilla che si contrae, dopo di che
lei si rialza e assieme ai suoi compagni fa polpette degli
“uccisori”. A questa versatile attrice, che si esibisce in vivaci
scene di combattimento, spetta il ruolo di protagonista: Andy è
Andromaca di Scizia, ha 6000 anni, e la sua storia millenaria si è
trascolorata in leggenda (e sì, fra l'altro è proprio l'Andromaca
di Racine). Il guaio è che vuole catturarli – per vivisezionarli
alla ricerca di un rimedio contro invecchiamento e malattie – un
pezzo grosso di “Big Pharma” (che è poco popolare di questi
tempi, ma fra tanti peccati questo non ce l'eravamo immaginato).
Lo sguardo di scoperta
dello spettatore si fonde con quello soggettivo della co-protagonista
Nile (Kiki Layne), una sottufficiale dei Marines che muore sgozzata
in Afghanistan – e poi nell'infermeria si risveglia dalla morte di
botto come un vampiro. Il film rende bene il suo smarrimento e
l'isolamento in cui si ritrova (gli sguardi impauriti e ostili dei
commilitoni, a partire dalle sue compagne più strette). Viene
“recuperata”, con le cattive maniere, dal gruppo degli immortali;
e qui compare una delle differenze ineliminabili tra i film e la vita
reale. In entrambi, in una situazione simile uno avrebbe diritto a
una spiegazione: ma in un film non si può dire “Adesso, figliola,
sediamoci con calma e ti spiego tutto. Ci vorranno solo dieci
minuti”. Ne morirebbe il ritmo, e si rovinerebbe la necessaria
ignoranza degli spettatori, che amano essere edotti a tappe. Per
questo nei film del genere i detentori della verità parlano in modo
ellittico e criptico da Sibilla Cumana.
Quando il quadro si
precisa, non manca il discorso su come un immortale debba soffrire
nel veder invecchiare e morire le persone amate (questo viene da
Highlander, che naturalmente era più incisivo e poetico).
Così Nile entra, un po' riluttante, nella compagnia. Invero in
questa parte lei spara alcune stupidaggini pacifiste/nonviolente che
ci fanno temere che il film vada a rotoli, ma per fortuna
quest'atteggiamento dura poco. Al contrario, la morale che attraversa
il film è puramente western: “Let's get the motherfucker!”
Privo di intenti
autoriali alla Nolan ma realizzato con professionalità, il film è
piacevole e si giova di una buona caratterizzazione dei personaggi,
dalla cupa Andy/Andromaca alla sconvolta neofita Nile ai due amanti
gay reduci delle Crociate: un moro (Marwan Kenzari), che sentiamo
fare una bella dichiarazione d'amore debitrice della poesia araba, e
un italiano (Luca Marinelli, che sarà Diabolik nel prossimo film
dei Manetti Bros.). Naturalmente qui siamo nel campo dell'action, ben
messa in scena (benché non si raggiunga la bravura di Michael Bay
nel memorabile 6 Underground), con sparatorie e mazzate e un
bel dialogo “da duri”; ma un certo approfondimento psicologico
non guasta. Il finale dice, anzi grida “State pronti per un secondo
episodio” e lo si può attendere con piacere.
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