Ben Wheatley
La prima sensazione è
di lesa maestà, perché nessuno dovrebbe permettersi di tampinare
Sir Alfred Hitchcock. Però anche dopo il suo capolavoro gotico
Rebecca, la prima moglie, del 1940, il romanzo di Daphne Du
Maurier ha avuto una mezza dozzina di versioni televisive (fra cui
quella italiana girata a Trieste); quindi questo Rebecca del
2020 di Ben Wheatley non è il primo e non sarà l'ultimo. Va da sé
che qualsiasi comparazione sarebbe ingenerosa.
Lily James incarna la
ragazza povera (non ne sentiamo mai il nome) che a Montecarlo sposa
d'improvviso un ricco fascinoso (Armie Hammer). Ah, ma già nel nome
– Maxim de Winter – costui porta l'inverno, con la solitudine e i
sensi di colpa. Non per nulla in Hitchcock Laurence Olivier appariva
per la prima volta a Joan Fontaine, forse pensando al suicidio, sul
ciglio di una roccia a strapiombo sul mare. Per inciso, viene
veramente da pensare che dalle inquadrature ricorrenti di onde contro
le rocce nel film Roger Corman abbia tratto ispirazione per le
immagini analoghe del suo ciclo su Poe.
Mentre Hitchcock era
drammatico fin dalla presentazione dei personaggi, nel presente film
le scene di Montecarlo, coi loro colori caldi, sono molto più
festive; è quando Maxim porta la protagonista nella sua principesca
magione, Manderley, che il mondo sembra rovesciarsi e lei deve fare i
conti con l'ombra opprimente della prima moglie, Rebecca,
apparentemente morta nell'affondamento del suo yacht, e ancora
venerata dalla squilibrata governante Mrs. Danvers.
“Lei
è ancora qui”. Rebecca è una storia di fantasmi.
Non ci sono ectoplasmi notturni ma c'è (e probabilmente è anche
peggio) una presenza ossessiva nel ricordo; e che Rebecca sia un
revenant, un fantasma da cacciare, è bene espresso dal nome
dello yacht, il cui ritrovamento fa precipitare la tragedia: Je
Reviens, io ritorno.
Dignitoso ma senza
grandezza, il film trova un punto di forza sul piano dei costumi e
della scenografia (Manderley è una location particolarmente
sontuosa). Kristin Scott Thomas ruba la scena nella parte di Mrs.
Danvers: nessuna sorpresa, è un cavallo di battaglia per le attrici
specializzate in “signore cattive” – anche se qui la
sceneggiatura mostra un limitato tentativo di umanizzazione. La
narrazione è abbastanza efficace (buona la pagina della nonna
afflitta da senilità); opportunamente l'inizio amplifica la famosa
apertura col sogno per facilitarsi una scelta dei tempi come incrocio
di ricordi. Un difetto del film di Wheatley è che lascia personaggi
a mezzo (il pazzo Ben) oppure omette di sviluppare spunti che
sarebbero stati produttivi, come il sonnambulismo del marito. Il
problema del film è proprio questo: è incerto fra le tentazioni
gotiche e oniriche espresse già nell'apertura e la volontà di
attenersi a un realismo psicologico sentito come “più moderno”.
Messaggero Veneto
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