Armando Iannucci
Non
l'aspetto più importante, ma quello che balza subito all'occhio
nell'ambizioso La vita straordinaria di David Copperfield
di Armando Iannucci è il
radicalismo nell'applicazione del principio del color-blind casting. Ecco una buona occasione per
riflettere sui tre tipi (in grado ascendente) di tensione sulla
credibilità della messa in scena che questo casting
comporta.
Il primo tipo in
effetti non comporta tensione, o minima, perché il problema è
risolto attraverso la diegetizzazione – ovvero, si dà una
giustificazione narrativa. Nel film, è il caso di Ham, il fidanzato
di Emily, che è nero. Ma già nel testo di Dickens Ham è figlio di
un marinaio annegato ed è stato adottato da Mr. Peggotty; nulla
impedisce di pensare che il padre fosse nero. E', ancora, il caso di
Mr. Wickfield, che qui è interpretato da un attore orientale
(Benedict Wong, nato in Inghilterra da genitori hongkonghesi).
Siccome, alla prima apparizione, nel dialogo il film gli fa
menzionare Singapore, possiamo pensare che provenga dall'Oriente e si
sia trasferito in Inghilterra (per sua figlia Agnes la questione è
diversa, e infatti ne parleremo dopo). In verità, rimane una
leggerissima tensione della plausibilità sul piano sociale: tanto i
poveri Peggotty, per progettare un matrimonio fra Ham ed Emily,
quanto la ricca Betsey Trotwood, per avere rapporti così amichevoli
coi Wickfield, devono dar prova di un antirazzismo lodevole ma
decisamente avanti sui tempi rispetto all'epoca vittoriana. Basta
vedere un episodio di Downton Abbey, che pure si svolge quasi
un secolo dopo, per rendersene conto. Tuttavia la logica interna è
salva e nessuno si fa male.
Quando questa leggera
contraddizione sociale viene amplificata arriviamo al secondo tipo di
tensione, che riguarda la messa in scena storica. La Londra del film
è popolata di persone di colore in ruoli sociali alti che,
semplicemente, non sono credibili per l'epoca: si va dai numerosi
colleghi neri di David nella scuola privata all'impiegato
dell'avvocato Spenlow che gli dà ordini in ufficio per culminare
nella dama della buona società, sprezzante di chi è socialmente
inferiore, la signora Steerforth, che è di colore, l'attrice
nigeriana Nikki Amuka-Bird.
A questo punto è già
chiaro che questo David Copperfield non mette in scena la
Londra di Dickens né alcuna Londra storica anteriore al tardo
Novecento. Tuttavia, possiamo vederlo come un paesaggio storico
d'invenzione: una ucronia. Non si capisce allora perché tanto
impegno sul piano dei costumi, o per restituire certi tocchi sociali
realistici dell'epoca come i poveri che dormono nelle strade; ma
tutto ciò comunque, pur incrinando il “panorama dickensiano”,
non sposta il film sul piano dell'assurdo.
Il terzo tipo, invece,
è distruttivo, perché il casting investe la costruzione
materiale del mondo (come se in un film non fantastico vedessimo un
uomo volare): nello specifico, la genetica e le leggi
dell'ereditarietà. Nel film il personaggio di Steerforth (il gallese
Aneurin Barnard) è di pelle bianca; sua madre (con la cicatrice sul
labbro che nel romanzo è attribuita alla cugina) è nera, la già
citata attrice nigeriana. Questo è color-blind
casting in senso assoluto; come risultato, la tensione con la realtà è talmente
forte da lacerare il tessuto del film. Ci si chiede perché il film
non avesse presentato uno Steerforth nero, tagliando alla radice la
contraddizione. Perché è un personaggio sgradevole? Ma sua madre lo
è di più.
La stessa cosa vale per
i due Wickfield, con l'orientale Wong che ha una figlia, Agnes, non
orientale ma nera (Rosalind Eleazar). Naturalmente la questione
investe lo stesso David, che è l'attore indiano Dev Patel, forse con
tanta più evidenza quando è bambino (il piccolo Jairaj Varsani).
Potremmo pensare che il defunto marito della signora Copperfield
fosse indiano, e così ricadremmo nell'innocuo livello uno? Il guaio
è che era il fratello di Betsey Trotwood, e Tilda Swinton indiana
non è di sicuro; si torna al livello tre.
Ovviamente un regista
ha sempre il diritto di dire: vogliamo essere virtuosi e al diavolo
la coerenza della messa in scena. In teatro, in virtù del suo
carattere più astratto, simili contraddizioni quasi non si notano.
Ma nel cinema (al di fuori di film d'arte come il Caravaggio
di Derek Jarman) questo giacobinismo del casting produce un
gigantesco passo indietro rispetto agli albori stessi del film
narrativo, e parliamo di Méliès, Alice Guy, la Scuola di
Brighton... Insieme ai piselli di Mendel si perde il concetto di
coerenza della messa in scena. E' come se un giorno si cominciassero
a inquadrare nei film anche le macchine da presa e i riflettori: non
è illegale, tutto si può fare – ma speriamo che non si faccia.
Detto tutto ciò, com'è il film a prescindere da questo aspetto? Per quanto mi riguarda, la domanda si può anche formulare così: cosa resta del film?
Iannucci, già autore
dell'eccellente Morto Stalin, se ne fa un altro, approccia il
romanzo di Dickens – così tante volte già portato sullo schermo –
sottolineandone le possibilità nel campo della commedia e del
grottesco. In questo è ben servito da Dev Patel, il quale a una
carica di simpatia umana unisce un'irrefrenabile energia che ha
qualcosa degli eroi del cinema muto. Si direbbe connessa a tale
aspetto di comedy l'esagerazione della figura di Dora; questa
donna-bambina, in cui Dickens fa la parodia di una certa concezione
vittoriana, nel film diventa una macchietta di stupidità. Le scelte
di Iannucci sono sicuramente rispettabili, anche se rimane il
sospetto che tolgano profondità e contribuiscano all'astrattezza del
film, che non si imprime nella memoria come ci aspetteremmo da una
versione dickensiana.
Forse ciò si può
mettere in rapporto con la qualità corretta ma non esaltante di
molte interpretazioni – il che arriva come una brutta sorpresa, se
consideriamo che si parla di gente del calibro di Tilda Swinton.
Accanto al protagonista Dev Patel, il migliore in campo è Hugh
Laurie, che dà una bellissima interpretazione di Mr. Dick. E'
accettabile ma un po' incerto il Micawber di Peter Capaldi (vero che
non tutti possono essere W.C. Fields); mentre tratteggiando Uriah
Heep Ben Whishaw ha il vantaggio di dover solo seguire le istruzioni
di Dickens per una parte “già sceneggiata” (non aveva torto
Ejzenštejn a considerare Dickens il padre del cinema). Se è del
tutto insoddisfacente Darren Boyd, il Murdstone più fiacco nella
storia delle versioni dickensiane, gli fa da contraltare l'ottima
Gwendoline Christie nel ruolo di sua sorella Jane, con un sorriso
fisso e inquietante da vera incarnazione della malignità.
Nel film, che è
sorretto da un buon lavoro immaginoso sulla scenografia e i costumi,
in generale sembra di poter dire che più scende il livello
d'importanza dei personaggi, più vivaci diventano i visi. Come
Polanski, pensiamo a Per favore, non mordermi sul collo, o
come Mel Brooks, pensiamo a Il mistero delle 12 sedie,
Iannucci è eccellente nel bozzetto visivo. Certe apparizioni (per
esempio la moglie di Micawber) potrebbero essere uscite dalle
illustrazioni di Phiz.
L'aspetto più
importante del David Copperfield di Iannucci, sul quale riposa
la sua aspirazione all'originalità, è la centralità dell'aspetto
metanarrativo. Ovvero, la narrazione mette apertamente in scena se
stessa. Il film si apre e si chiude su un palco sul quale David,
divenuto uno scrittore, legge il proprio romanzo autobiografico (ai
suoi protagonisti!). Di più, si crea lungo tutto il film un corto
circuito fra l'autore e se stesso come personaggio: il David
scrittore invade materialmente il proprio racconto, assiste anche
alla propria nascita (e viene visto in soggettiva da se stesso
neonato). In pratica David Copperfield “si scrive”.
Di qui qui alcune
soluzioni narrative audaci: per fare un esempio memorabile, mentre
David è in vacanza nella barca-casa dei Peabody, un rombo come di
terremoto la scuote (niente di soggettivo: anche gli altri personaggi
lo sentono), il tetto si lacera ed appare una mano gigantesca a
ghermirlo – ed eccolo di ritorno a casa sua, dove scopre che la
madre si è risposata e si trova come patrigno il crudele Mr.
Murdstone.
Questa prevalenza
dell'aspetto metanarrativo concede a Iannucci una libertà pressoché
assoluta. Tuttavia, alcune scelte della sceneggiatura di Iannucci e
Simon Blackwell appaiono come difetti imperdonabili. Uno consiste
nella conclusione. Tutti sanno che Amleto uccide il re, che i giganti
sono mulini a vento e che don Rodrigo muore di peste; tutti sanno che
David sposa Dora ma poi lei muore e lui sposa Agnes. Nel presente
film c'è un'interessante scena, metanarrazione pura, in cui David
prima la “pensa” dentro un episodio (la sconfitta di Uriah Heep)
e poi la cancella, su suo stesso invito (“Io proprio non c'entro”):
questo si trasforma idealmente in un malinconico addio, e sarebbe una
delle cose migliori del film se facesse da preludio a una scena di
morte; solo che Dora, invece, scompare, ed è un'ellissi
imbarazzante.
Infine, il peggio del
peggio, un incomprensibile tocco di masochismo filmico. Una pagina
cardine del romanzo, familiare anche a chi non l'ha letto tutto, è
la famosa camminata di David bambino quando lascia Londra e va a
piedi fino a Dover per rifugiarsi da zia Betsey, vi arriva tutto
stracciato e affamato, e c'è una scena tragicomica, splendidamente
scritta, di agnizione. Per pura follia, nel film questo episodio
viene trasferito a David cresciuto (sarà anche giovane, ma è già
Dev Patel). Vedere la scena di Dickens illustrata fedelmente ma
riferita a questo simpatico marcantonio, che piange e si lamenta come
il ragazzino del romanzo, fa cadere le braccia.
Naturalmente
possiamo rifugiarci anche qui nel riconoscimento metanarrativo – in
fin dei conti è David che scrive di se stesso – ma entreremmo in
complicazioni narratologiche da far venire il mal di testa, e non
dimentichiamo che David Copperfield
è un film mainstream.
In conclusione, il film
di Iannucci è uno strano mix di acutezza e balordaggine; dove i
tocchi buoni rendono, per contrasto, ancora più evidenti i suoi
difetti. Certamente, andare a rivedersi in DVD la versione di George
Cukor del 1935 è un'esperienza – e un approccio a Dickens –
senz'altro più soddisfacente di questo film.
Nessun commento:
Posta un commento