L'eccezionale
I WeirDO, da Taiwan, diretto da Liao Ming-yi (che firma
regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio) è una dramedy,
o commedia drammatica, sull'amore di un ragazzo e una ragazza
afflitti da disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Imbacuccati quando
escono all'aperto con impermeabile, cappuccio alzato, mascherina e
guanti, imprigionati in una rete di comportamenti compulsivi, il
giovane Po-ching (Austin Lin) e la giovane Ching (Nikki Hsieh) si
incontrano e si corteggiano (l'iniziativa parte da lei, la più
determinata) in una spiritosa descrizione che incrocia il disturbo
psichico e il mix di timidezza e audacia giovanile in tema d'amore.
La descrizione di questo rapporto inserita nel contesto del DOC
potrebbe far pensare – per trovare riferimenti nel cinema
occidentale – a Woody Allen e Noah Baumbach; ma è il secondo nome
a emergere con forza nella seconda parte, commovente e quietamente
tragica (perché l'amore è tragico, non c'è scampo). La
guarigione di un membro della coppia, rifiutata dall'altro, si
trasforma in una replica inversa di quel “melodramma di
malattia” che è quasi un genere nel cinema orientale. Una
“guarigione” destinata a far saltare in aria l'amore, col che
però il film consciamente sfida i nostri presupposti e le nostre
convinzioni: cos'è la salute? cosa significa normalità? e
soprattutto: come funziona l'amore? Una fra le molte cose memorabili
del film lo shifting di focalizzazione che avviene a metà,
dichiarato dal passaggio dalla voce over maschile a quella femminile;
e questa lucidissima voce narrante femminile filosofeggia
dolorosamente sull'amore come stato instabile e contraddittorio
dell'anima. Come si sarà già compreso, tutto il film è strutturato
in modo geometrico sui principi del rispecchiamento e della
duplicazione. E infatti c'è anche di più: una parte finale
sorprendente torna indietro nel film e ne inverte lo svolgimento,
riproducendolo identico a ruoli invertiti. Nota che questo
raddoppiamento non è meccanico: la voce narrante di lei comporta una
consapevolezza del futuro che a lui mancava – e che si collega
all'esperienza dello spettatore perché questi ha “già visto”, a
ruoli invertiti, lo sviluppo. Del resto Ching è sempre stata nel
film la più intelligente dei due.
Questo
film girato con l'iPhone XS mostra fin dall'apertura una particolare
precisione – “giustezza” – sul piano fotografico: nel formato
“quadrato” che ricorda il vecchio 1,33:1, Liao lo sfrutta
magnificamente in apertura con una “fuga” di due scaffali del
supermercato che dirigono lo sguardo verso il fondo. Poi in questo
fondo scena passa Po-ching tutto imbacuccato e un breve carrello
laterale lo segue a distanza fino allo stacco in primo piano. Quando,
aprendo la seconda parte del film, il formato si allarga a
rettangolare (implicando, come ha scritto Ross Chen, un superamento
della conduzione “ristretta” di chiusura in se stessi dei
protagonisti, ma un allargamento che non viene senza conseguenze), il
passaggio da un formato all'altro è reso fluido connettendolo
all'apertura di una finestra. Bisogna poi menzionare l'uso, vivace,
“almodovariano” ma senza allegria spagnola, del colore. Ma
soprattutto una cosa resta da aggiungere: sul piano interpretativo,
se Austin Lin è bravissimo, Nikki Hsieh è eccezionale.
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