Bong
Joon-ho nel suo cinema è sempre stato attento all'opposizione fra
strati alti e strati bassi della società. Anche nel bel film
hollywoodiano del regista coreano, Snowpiercer,
il treno è un microcosmo diviso
per vagoni in classi sociali; anche un eccellente film di mostri, un
kaiju eiga moderno,
come The Host
contrappone la famiglia di poveracci che vive stentatamente presso il
fiume ai potenti mezzi della Corea ufficiale, e sono i poveri a
risolvere la situazione. Questa sua attenzione esplode nel folgorante
capolavoro che è la commedia nera Parasite.
Il
film – fedele al suo titolo – è un lezione sul parassitismo,
addirittura in senso etologico. (E qui ci vuole più che mai
l'avvertimento che la presente recensione va letta solo dopo averlo
visto, a scanso di spoiler). C'è una famiglia di sottoproletari, i
Kim, che tirano la cinghia in un misero scantinato. E c'è una
famiglia di ricchi alquanto stupidotti, i Park, che vivono in una
villa comprata da un architetto trasferitosi a Parigi, dal quale
hanno ereditato la cameriera Moon-gwang. Il giovane Kim Ki-woo, il
figlio, comincia a introdursi nella famiglia Park come insegnante di
rinforzo d'inglese per la loro figlia maggiore – con attestati
abilmente falsificati al computer dalla sorella Ki-jung (“Accidenti!
Oxford non ha un corso di laurea in falsificazione di documenti?”,
dice ammirato il capofamiglia). Poi, esaminata la situazione, Ki-woo
riesce a introdurre in casa la sorella sotto mentite spoglie –
esilarante pezzo di comedy
quando finge di non ricordare bene il nome di questa ragazza che
conosce – come esperta di “arteterapia” per il bambino
disturbato dei Park (lei poi al fratello: Ho cercato arteterapia su
Google e ho improvvisato il resto”). Del resto, che i poveri siano
maggiormente attrezzati alla sopravvivenza, per ragioni strettamente
darwiniane, emergeva già nel primo incontro di Ki-woo con la figlia
dei ricchi col suo discorso sul modo aggressivo di superare un esame.
Sempre
mediante imbrogli perfidamente geniali (trappole spietate per
liberarsi dei titolari) anche il padre viene introdotto come autista,
e infine entra la madre come domestica al posto di Moon-gwang, fatta
licenziare con il più crudele e straordinario dei trucchi. E' un
vero manuale dell'arte della truffa. Quello della famiglia unita nel
crimine è un topos
fra i principali della black comedy,
ed è molto amato dal cinema coreano (ricordate per esempio The
Quiet Family di Kim Jee-woon?).
Una truffa che si moltiplica in modo esponenziale secondo il classico
schema “a valanga” della commedia – solo che qui la valanga non
è l'amplificazione obbligata di una bugia traballante bensì la
progressione di un piano lucido per infiltrarsi a uno a uno. Così i
Kim (molto più simpatici dei fatui borghesi Park) si piazzano nella
casa dei ricchi come gioiosi parassiti. Naturalmente, fra questi
finti estranei la complicità si trasforma in ammiccamenti e
toccamenti segreti alle spalle dei padroni presenti – il che apre
uno scorcio su quella “vita segreta entro la vita quotidiana” che
ricorda da vicino il cinema horror. E alle prime il piano funziona
brillantemente.
Parasite è un
film di un materialismo spietato sul piano dei sentimenti. Siccome i
Kim padre e figlio hanno simpatia per i Park, all'osservazione che la
signora Park “è ricca eppure gentile” la madre Kim ribatte con
una battuta già diventata famosa: “E' gentile perché è ricca. Se
solo avessi tutti quei soldi anch'io sarei gentile – anche di più”.
Quando poi il padre si preoccupa per un attimo della sorte
dell'autista fatto mandar via con l'inganno, la figlia salta su:
“Porca puttana! Siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto...
preoccupatevi di noi!”
Nella polarizzazione
tra l'alta borghesia dei Park e il sottoproletariato dei Kim, che
riflette un aspetto di polarizzazione sociale estrema presente in
Corea e ancor più in Cina, non c'è neppure lo scontro di classe;
c'è la non comunicazione assoluta: l'unica comunicazione si svolge
attraverso la menzogna, cioè del non-esistente (dal lato opposto il
film è anche uno studio sul modo che hanno i ricchi per mantenere
educatamente le distanze). L'accoltellamento finale più che un gesto
di odio di classe è un gesto di disperata follia.
In questa
polarizzazione la differenza fra ricchi e poveri comincia già
dall'odore. Il piccolo Park è il primo ad accorgersi che tutti
questi impiegati e servitori odorano allo stesso modo (segue un
consulto assai divertente fra i Kim che parlano di diversificare
sapone e detersivo – al che la figlia ribatte: inutile, è l'odore
dello scantinato). La stessa natura è una cosa diversa per i poveri
o i ricchi. La pioggia battente è una bella cosa da guardare
sorseggiando whisky (lo dicono i Kim festeggiando in casa in assenza
dei padroni), e i ricchi si felicitano perché spazza via
l'inquinamento – mentre a causa della stessa pioggia le case dei
poveri vengono inondate dall'acqua fetida dello straripamento delle
fogne.
Che
volete farci? I poveri vivono più in basso! Parasite
è un film langhiano, interamente giocato sull'opposizione di alto e
basso: è una storia di livelli allo stesso modo sociali e spaziali
(e metaforici di conseguenza). Ove questa stratificazione non resta
immota come un ovvio simbolo ma viene riportata con autentica
genialità nel plot e lo muove.
Il
piano dei Kim si inceppa e crolla disastrosamente quando i nostri
eroi si trovano di fronte a un'amarissima verità: sotto il livello
più basso ne esiste uno più basso ancora. Mentre i Kim si danno
alla bella vita in assenza dei padroni, arriva improvvisamente
Moon-gwang, la domestica licenziata – e si scopre che
nella villa esiste, sconosciuto a tutti, un bunker sotto la cantina.
La spiegazione: in passato molte famiglie ricche ne avevano uno, “in
caso di attacco dalla Corea del Nord – o se arrivano creditori”
(una battuta che avrebbe potuto scrivere Preston Sturges). Dunque in
questo sistema a piani, sotto il livello del sottoproletariato c'è
un ulteriore livello segreto – e qui la struttura verticale dei
livelli diventa addirittura psicoanalitica. Nel bunker vive nascosto
il marito semipazzo di Moon-gwang, rifugiatosi lì da quattro anni
per sfuggire a una banda di strozzini.
L'imbroglio si scopre,
i Kim vengono catturati e tenuti sotto controllo con un filmato che
li denuncia: l'arma finale che potrebbe farli licenziare (qui
Moon-gwang si produce in una parodia esilarante degli annunciatori tv
della Corea del Nord); e questa svolta nella situazione porta a un
finale sanguinoso. Parasite è una black comedy dalla
logica spietata e allucinata. Non è un mix di generi come ha scritto
qualcuno: è una commedia nera che arriva alle estreme conseguenze.
Doloroso in maniera oggettiva, il film non contempla tocchi di pietas
soggettiva – se non in un paio di momenti: uno è la morte di
Moon-gwang per commozione cerebrale, che mormora al marito legato
“Tesoro... non riesco a vederti”; un altro è quando, nel finale,
Ki-woo e la madre sono al cimitero davanti al loculo di Ki-jung, e
per la prima volta vediamo la madre piangere.
Nella struttura di
classe della società coreana i Kim possono vivere con un minimo di sicurezza
solo come parassiti (lo anticipa l'inizio dove li vediamo agganciarsi
abusivamente ai WiFi altrui). Così, l'animale-simbolo del film è il
parassita delle case per eccellenza: lo scarafaggio. Materialmente
questo insetto opportunista compare solo una volta all'inizio; ma il
concetto viene ribadito continuamente. Quando i Kim hanno il
temporaneo possesso della casa perché i padroni sono al campeggio, e
si mettono a scherzare su cosa farebbero se all'improvviso entrasse
il signor Park, la madre dice al padre: scapperesti e ti
nasconderesti come uno scarafaggio (ne nasce quasi una rissa). Dopo
la scena assai comica in cui tre dei Kim nascosti sotto il basso
tavolo orientale sono costretti ad ascoltare le effusioni erotiche
dei coniugi Park sul sofà (non manca nel dialogo un altro
riferimento al loro odore), infine i Park si addormentano e i Kim
possono strisciare fuori a uno a uno; l'ultimo è il padre... e in
quella i Park vengono svegliati da una chiamata del bambino al walkie
talkie! Kim resta immobile, coi suoi piedi sporchi che sporgono dalla
porta, sperando che non lo vedano – e non è questa “immobilità
come difesa” esattamente quella degli insetti quando si accende la
luce?
Ma soprattutto
l'analogia viene ribadita in una breve scena del terribile finale,
quando il padre ha dovuto prendere il posto del marito di Moon-gwang
nel bunker segreto. Esce solo di notte, e proprio come uno
scarafaggio lo vediamo che si muove scurrying nel buio, sempre
con la paura che un domestico dei nuovi proprietari accenda la
luce...
Il film si chiude sulla
visualizzazione del “piano” di Ki-woo di laurearsi, diventare
ricco, comprare la casa dove si nasconde il padre e così farlo
uscire... Ma che questo sia solo un sogno ce lo dice già
l'ineluttabilità contenuta nel movimento verticale di
macchina dall'alto al basso, dalla finestra che si apre sul fondo
della strada giù al livello dello scantinato, e come apriva il film,
identico, circolarmente, lo chiude.
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