Ogni
autore trasfonde nelle sue opere molto di sé, ma Roman Polanski è
particolare nel mettere dentro i suoi film i tratti di una biografia
dolorosa. L'esperienza infantile del bambino ebreo sotto il nazismo
nella Polonia occupata. La vita dello studente e poi giovane regista
sotto il comunismo. La condizione dell'esule dopo aver lasciato la
Polonia (e non solo). E naturalmente il ricordo dell'orrore di Bel
Air.
Anni
dopo aver messo in scena con cupa accuratezza la Storia, distruttiva
e irrevocabile, ne Il pianista, Polanski è tornato
alla ricostruzione storica, ancora sul tema dell'antisemitismo, col
bellissimo J'accuse (L'ufficiale e la spia), sul caso
Dreyfus. Anche questa notevole ricostruzione, con un gusto pittorico
nelle inquadrature che si rifà agli impressionisti, si fonde con le
ossessioni dell'autore. Già la potente scena iniziale è molto
polanskiana. L'ordine perfetto dei soldati schierati su tre lati,
altrettanto gelido quanto il movimento di macchina che lo rivela,
dipinge un mondo coalizzato contro un individuo.
La
scena citata mostra la degradazione di Dreyfus (e la gioia
dell'establishment militare francese nel vedere schiacciato
l'ufficiale ebreo). Il film si svolge però dopo la deportazione di
Dreyfus all'Isola del Diavolo. L'ufficiale Georges Picquart (Jean
Dujardin), un uomo inflessibilmente onesto (non diciamo un uomo
perfetto), ha contribuito all'accusa contro Dreyfus. Messo a dirigere
il Deuxième Bureau, il servizio di intelligence dell'esercito,
scopre che Dreyfus era innocente e le prove erano false. J'accuse
mette in scena un puzzle – simboleggiato dai pezzetti di carta
strappata e ricomposta che compaiono nel film – come in tanto
cinema polanskiano (per esempio Frantic). Pessimismo
esistenziale di Polanski! La prova dell'innocenza nasce dal caso,
proprio come è nata dal caso l'accusa (per la somiglianza fra due
calligrafie), anche se poi su questo ha fatto aggio l'antisemitismo.
Merita
notare che se Picquart è un eroe, perché sa a cosa va incontro (pur
con un minimo di ingenuità iniziale), Dreyfus si è trovato nella
situazione classica dei personaggi di Polanski il cui mondo crolla
improvvisamente sotto l'irruzione dell'assurdo. Che qui è un'accusa
infondata e la condanna dopo un processo folle – dove compare il
famoso Bertillon, l'inventore del sistema antropometrico, che nel
film fa una figura che definire barbina è dir poco.
Picquart
si batte per la riapertura del processo, e così si mette contro
tutto il sistema, fino ad affrontare la rovina della carriera, il
linciaggio morale e anche la prigione. Se Dreyfus, in quanto ebreo, è
visto come uno straniero dagli antisemiti, anche il protagonista
finirà per condividere la stessa sorte. Un gesto ricorrente di
Picquart è di slacciarsi il colletto nell'atmosfera soffocante del
suo ufficio di capo dell'intelligence dove non si riesce ad
aprire la finestra bloccata – e c'è tutto Polanski in questo senso
di soffocamento. L'universo è una macchina maligna.
Contro
Picquart sono coalizzate le gerarchie militari, volti rugosi di
vecchi incattiviti; ed ecco riapparire il concetto polanskiano di una
cospirazione di vecchi potenti e maligni contro la vita – dai
satanisti di Rosemary's
Baby ai
vampiri di Per
favore, non mordermi sul collo.
In questo si può vedere il riflesso della sua esperienza di vita
sotto il comunismo, che, non dimentichiamo, era una gerontocrazia.
Ma
c'è di più. Nel sistema ossificato della Terza Repubblica francese,
chiuso nella propria autodifesa, Polanski vede i prodromi del
totalitarismo del Novecento. Non solo vediamo roghi di libri e
vandalismi contro i negozi ebrei che alludono direttamente al
nazismo. In precedenza, nella sua visita alla sede del Deuxième
Bureau come nuovo capo, sotto la guida del capitano Henry, Picquart
vede gli addetti che aprono la corrispondenza altrui. Picquart: “Sono
lettere private?” – Henry: “Lo erano”. Come non ricordare la
scena de Le
vite degli altri di
Donnersmarck con gli agenti della Stasi che aprono le lettere come in
una catena di montaggio. Qui ne vediamo gli inizi artigianali. E dopo
la perquisizione nell'appartamento di Picquart, il caos lasciato col
suo senso di violazione
(proprio come il furto in casa ne L'inquilino
del terzo piano)
ci riporta anch'esso al totalitarismo.
Non
c'è salvezza, nel cinema di Polanski, se non per il gioco cieco del
caso, e anche la salvezza riproduce una circolarità. Il film si
conclude con un freddo incontro burocratico, anni dopo, fra Dreyfus e
Picquart, ora ministro, che respinge una sua richiesta. Una
didascalia ci dice che “I due uomini non si incontrarono più”.
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