venerdì 22 luglio 2016

It Follows

David Robert Mitchell

Morte di una formica. Subito dopo lo spietato prologo (su un'altra ragazza) che apre il bellissimo It Follows di David Robert Mitchell, vediamo la protagonista Jay immersa nell'acqua della piscina, che si accorge di avere una formica sul braccio. E cosa potrebbe fare? Nuotare fino al bordo con un braccio solo per tenerla fuori dall'acqua? Comunque, neanche ci pensa: immerge il braccio e l'annega. Così per la formica Jay è un indifferente dio della morte – esattamente come quella creatura lenta e neutra (It), muta e come priva d'emozione, che nel film uccide i giovani con una atroce “gratuità” che conosciamo specialmente dall'horror orientale. Come la ragazza del prologo (il cui cadavere contorto sembra proprio una formica schiacciata). Non siamo tutti come formiche per questa forza inconoscibile? Non sembra esserci odio nella sua impenetrabilità, non mostra emozione se non la ferocia al momento dell'attacco.
Una sera Jay ha un rapporto sessuale con un ragazzo; poi questi, prima di darsi alla macchia, le confessa di averle così trasmesso la maledizione: c'è una creatura inesorabile (“Questa cosa ti inseguirà”) che segue le sue vittime per ucciderle, assumendo diverse forme umane, fra cui magari quella delle persone amate. “E' lenta, però non è stupida”. Solo la vittima può vederla; tant'è che il film presenta in un paio di casi l'uso di soggettive dei personaggi minori per mostrarci che non vedono il mostro: un salto di focalizzazione poco disciplinato, ma probabilmente inevitabile.
Chi è perseguitato dalla creatura ha un solo modo per liberarsene: la maledizione si trasferisce a un'altra persona attraverso il rapporto sessuale. Ciò ha fatto gridare molta critica alla metafora dell'AIDS; c'è del vero, ma bisogna puntualizzare, pena l'incomprensione del film. L'allusione rientra in quel grumo nebuloso di suggestioni legate al corpo fisico sul quale si organizza It Follows – che è un film sul corpo (e di conseguenza sulla percezione), non sul sesso o la malattia; se c'è tanta importanza della sessualità è perché la materialità del corpo trova nella sessualità un punto nodale, tanto più nella condizione insicura e magmatica dell'adolescenza. E infatti, l'AIDS è contagioso mentre qui è vero il contrario, perché la maledizione si trasmette per via sessuale ma chi la trasmette se ne libera. A questo punto l'analogia evidentemente non vale più, e piuttosto siamo a quel topos dell'horror che potremmo chiamare della “maledizione a staffetta”. Molto opportunamente in una recensione Rudy Salvagnini ne allega un esempio famoso, il racconto Casting the Runes di Montague Rhodes James.
Sul che si innesta un discorso del tutto differente da quello del contagio, che è quello dello scambio. Mors tua, vita mea, con tutti i suoi addentellati morali: ecco il tema del film. Non è casuale il gioco di carte che vediamo fare ai giovani protagonisti, sul quale l'inquadratura insiste in dettaglio: è una variante di quel gioco che in Italia, almeno nel Nordest, si chiama popolarmente “pampalugo”, e in America è “l'uomo nero” (devo quest'ultima informazione a Francesca Sorbilli): si scartano le coppie e fa pescare una carta a un altro giocatore, cercando di fare in modo che rimanga con l'unica carta non accoppiata, col che ha perso.
Le diverse apparizioni della creatura sono accomunate da qualcosa di bizzarro, di unheimlich, che riporta certamente l'incongruo ma anche il censurato, il non guardabile: la nudità, i fluidi corporei che scorrono lungo le gambe, la brutale decadenza fisica della vecchiata; mentre l'angoscia della trasformazione dei familiari in mostro ha una lunga storia nell'horror, dal vampirismo alla trasformazione in zombi della bambina che uccide e mangia i genitori ne La notte dei morti viventi. Più in generale, proprio come con gli zombi lenti e sonnambulistici del capolavoro di Romero, la comparsa stessa di una persona sul fondo è un campanello d'allarme; in modo stridente la normalità si rovescia in pericolo. Così in It Follows la vittima scruta con angoscia l'essere umano che appare e che potrebbe non essere umano, e scambia coi suoi amici interrogazioni angosciose che riecheggiano continuamente nel film: “La vedete…?”, “Che cosa vedi?”
La scena sulla spiaggia, con l'avvicinamento del mostro sotto la forma di una donna in maglietta bianca, illustra perfettamente la strategia narrativa di Mitchell, che trasmette (delega) l'inquietudine e l'allarme allo spettatore prima che ai personaggi (tant'è vero che la score di Disasterpeace serve a sua volta a caricare di allarme un'immagine neutra, modificandone la nostra percezione). Anche ciò contribuisce a dar ragione delle scelte linguistica del film col suo uso dei campi lunghi. It Follows si caratterizza per un ritmo narrativo ampio e disteso, opposto al montaggio isterico oggi di moda, che rinforza l'effetto di spiazzamento. Il sontuoso piano sequenza iniziale, comprendente una panoramica a 360 gradi, esprime un'onnipotenza dello sguardo della mdp che è un'onnipotenza dello sguardo dello spettatore – ma che si rovescia in un'onnipresenza della minaccia: con una folgorante equazione il film ci dice che se tutto è visibile allora tutto può essere visto. Non esiste salvezza.
La difficoltà nel parlare di questo film è di non trovarsi ridotti a ripetere molte buone osservazioni che sono state già fatte in campo critico. Qui è d'obbligo citare almeno un'eccellente recensione di Stefano Lo Verme su Movieplayer.it, contenente fra l'altro l'osservazione fulminante che nel film l'ambientazione diegetica contemporanea è attraversata da richiami costanti agli anni Ottanta, “quasi a voler conferire all'intero racconto un sostrato onirico ma in maniera sottilissima, quasi impercettibile”.
Si potrebbe aggiungere che la sovrapposizione di questi due tempi ci riporta immediatamente a David Lynch. E che il riferimento non sia peregrino è dimostrato dalla scena in cui Jay, barricata in camera, si lascia convincere dagli amici ad aprire la porta, ma dietro l'amica Yara compare la creatura persecutrice in forma di un uomo gigantesco: e questo gioco di sproporzione delle dimensioni fisiche è puro Lynch. Ancora sui riferimenti cinematografici, tutta la critica ha giustamente menzionato John Carpenter; bisogna poi citare per la scena della piscina Jacques Tourneur – del quale It Follows, se non riprende l'ingegnosa ambiguità, certamente riecheggia la sensazione “lewtoniana” di un mondo assurdo che non perdona.
It Follows è un film estremamente intessuto, colmo di rime, analogie, rimandi, e di riferimenti calzanti sia sul piano della cultura alta (Dostoevskij, Eliot) sia di quella popolare, coi due film di fantascienza povera degli anni cinquanta-sessanta in b/n che vediamo trasmessi alla televisione. E' un film ricchissimo di suggestioni che si aprono nel testo - ne suggerisco un paio: il ritorno all'infanzia come fuga; l'acqua come simbolo di salvezza (cfr. anche il dialogo – ripetuto, con uno strappo al realismo – del secondo film visto in tv). Ma forse quello che meglio funziona da chiave del film è il riferimento finale da L'idiota di Dostoevskij, che così si può (goffamente) parafrasare: la tortura è orribile ma la vera tortura è, al di sotto di essa, l'avvicinarsi implacabile della morte. “La cosa peggiore è questa certezza”. Ecco, questo seguire implacabile – che forse o senza forse continua nell'ambiguo finale – è la morte.

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