giovedì 28 luglio 2016

Tutti vogliono qualcosa!!

Richard Linklater

Uno dei massimi racconti di Borges si intitola Pierre Menard, autore del Chisciotte. In cui un erudito, Pierre Menard, produce una riscrittura contemporanea del Don Chisciotteriscrivendolo identico: ma a distanza di quattro secoli siamo noi che lo leggiamo in modo diverso.
Questo racconto torna con prepotenza alla memoria vedendo Tutti vogliono qualcosa!! (1) di Richard Linklater, il cui protagonista Jake arriva come matricola al college e fa amicizia cogli studenti – una congrega di filibustieri – con cui abiterà (fra l'altro, sono tutti giocatori di baseball con una borsa di studio, donde la loro esilarante competitività). Il divertentissimo film di Linklater rappresenta una perfetta riscrittura di un tipo di cinema americano molto frequentato in passato: la commedia giovanilistica di studenti della high school o del college smaniosi di divertimento, e in particolare assatanati per l'alcool e il sesso. Si possono citare alla rinfusa mille titoli, come Una pazza giornata di vacanza di John Hughes, Risky Business di Paul Brickman, naturalmente Animal House di John Landis, la sitcom Bayside School, e la bella trilogia di Bob Clark (poi, James Toback) Porky'sispiratrice più tardi della serie American Pie. Spesso si indica in American Graffiti di George Lucas un modello per questo genere di film, ma anche il film di Lucas si inserisce in un'evoluzione, per la quale non sarebbe fuori luogo neppure ricordare i film di Andy Hardy con Michael Rooney.
Alla base di questo topos degli studenti terribili sta, per lo più inespressa, la consapevolezza dei protagonisti di vivere in un momento esistenziale di sospensione: il momento magico e irripetibile tra la subordinazione dell'infanzia e gli obblighi dell'età adulta. “Quant'è bella giovinezza / che si fugge tuttavia”: si vive per il momento - ma incombe nondimeno il futuro, il che produce un'implicita e segreta nota drammatica. Come il western parla della fine del West, così su questa elegia della giovinezza si stende l'ombra della sua fine.
Ho usato aggettivi come inespressa e implicita a proposito della maggior parte di questi film (non certo Lucas): che non vuol dire assente, bensì inserita sotto lo svolgimento, come in filigrana. Ora Linklater assume come orizzonte e “ricanta” quel cinema di studenti scatenati. Ma quella concezione amara del tempo in cammino, della giovinezza che brucia veloce e fugge, qui sale in primo piano. Non perché sia particolarmente esplicitata, al di là della bella conversazione di Jake con l'amica Nicole su Sisifo e il baseball poco prima della fine. Piuttosto, Linklater vi allude simbolicamente con un device, la didascalia ricorrente del tempo che manca all'inizio delle lezioni, e che si riduce sempre di più; peraltro, il valore metaforico della didascalia è talmente ben mascherato sotto quello diegetico (ossia l'avvicinarsi di quella rottura di p…) che essa potrebbe tranquillamente apparire in qualsiasi dei film citati, anche quelli più spensierati come American Pie. Ma quando nell'ultima immagine Jake e il suo amico, reduci da una noche brava, rifiutano la lezione addormentandosi, tutto ciò non ci inganna; è solo un'eco del ieri; e non per nulla quando arriva Jake ha già iniziato una relazione seria.
Ecco dunque il momento di giustificare il riferimento a Pierre Menard. Noi che vediamo tutti quei film sopra citati li vediamo alla luce della storia passata da allora, la nostra consapevolezza si riflette su di essi e li modifica; Linklater con Tutti vogliono qualcosa!! li riprende con una sorta di acribia e tuttavia realizza un'opera diversa, in cui quella consapevolezza entra in primo piano. Questo perché il futuro che incombe su questi ragazzi non è solo la crescita personale ma è anche una svolta politica e culturale nella vita e nell'autoconsapevolezza della nazione. C'è un momento in Tutti vogliono qualcosa!! che sembra buttato lì ed è invece assai significativo. I giovani protagonisti passano (fregandosene altamente) vicino a due stand di ragazze: il primo ha il cartello “Carter 1980”, il secondo “Reagan-Bush”. Quali che siano le nostre personali opinioni politiche (che scrive per esempio avrebbe acquistato un badge al secondo stand), non può non apparirci chiaro che siamo a una svolta, come si dice, epocale nella storia americana. La fine degli anni sessanta (e del loro prolungamento nei settanta), per sintetizzare.
Proprio per questo Linklater ambienta in quell'epoca il suo film, che è un autentico film storico, un film in costume (in questo senso si riallaccia per lucidità al lucasiano American Graffiti, tanto che avrebbe potuto avere lo stesso titolo). E', quello del film, il tempo delle macchine da scrivere, di Kerouac letto come bibbia, degli spinelli a manetta, di Carl Sagan; è il tempo – che oggi ci sembra esotico come gli antichi romani in cui non esisteva l'AIDS e la libertà sessuale era assoluta (“S'ei piace, ei lice”), quando il massimo di preoccupazione poteva venire dalla fidanzatina che ti avverte di avere il periodo in ritardo (beninteso questa non è la realtà storica – per esempio non erano affatto assenti le malattie veneree – ma l'immagine di sé che quella società aveva; che è a sua volta un fatto storico). Il tempo in cui ciascuno poteva perseguire l'ambigua innocenza dell'apoliticità, specie per quanto riguarda la politica internazionale (anche qui, vale l'osservazione precedente). Last but not least, il tempo in cui si espresse al massimo sviluppo un concetto utopico e illusorio di eterna giovinezza. Che Linklater adombra spiritosamente nel personaggio di Willoughby, il californiano super-sfumazzato che (si scopre) ha trent'anni ma si iscrive alle università del paese sotto falso nome perché gli piace stare lì.
Tutto questo non stupisce, se pensiamo a come tutto il cinema di Linklater tenda a situarsi nel corso del tempo – la storia degli stessi personaggi lungo un arco autentico di dodici anni, girando un segmento alla volta fra il 2002 e il 2013, nel geniale Boyhood, e in forma meno radicale nella trilogia sentimentale biografico-truffautiana Before Sunrise/Before Sunset/Before Midnight. In Tutti vogliono qualcosa!! l'operazione è diversa ma coerente: Linklater cristallizza non un momento qualsiasi ma quel momento storico isolandolo nel tempo in movimento, come un insetto nell'ambra. E proponendocelo in modo che noi spettatori vediamo, al di là del singolo momento, la storia nel suo fluire. Qui entra d'obbligo la citazione di un discorso di Willoughby nella scena in cui si spinellano insieme: “trovare l'essenza all'interno della struttura… è tutta lì l'arte”.

(1) Il titolo traduce l'originale Everybody Wants Some!!, che si potrebbe meglio tradurre “Ciascuno ne vuole un po'”. Quanto ai due punti esclamativi, coerenti col titolo originale, mancano sui poster ma sono presenti sulla copia – che fa testo.

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