Len Wiseman
Regola del vantaggio: un film di vampiri contro lupi mannari non può mai essere veramente brutto. Ma anche se non esistesse questa regola dovremmo riconoscere in “Underworld” di Len Wiseman uno spettacolo gustoso. Originalità ce n’è pochina, ma il divertimento è assicurato. Mostri zannuti e sparatorie accompagnate da un diluvio di rock: che volete di più?
Concetto base: noi umani non lo sappiamo, ma di notte nelle nostre città si combatte (oggigiorno usando armi da fuoco dai proiettili modificati) una guerra millenaria fra le razze dei vampiri e dei licantropi. A livello di effetti speciali, nel film i vampiri la vincono nettamente su questi licantropi realizzati così così in digitale. Va aggiunto che “Underworld” è un fantasy e non un film dell’orrore (nota: il vero horror semmai è il modo indecente in cui i film vengono proiettati al Cinecity di Pradamano), e in questo senso richiama più “X-Men” che non la tradizione del cinema di vampiri.
Kate Beckinsale è eccellente come vampira-killer in questo racconto narrato nei consueti modi del cinema moderno gasato e adrenalinico (metà del gusto di “Underworld” sta nel montaggio hip di Martin Hunter). Quando viene resuscitato per mezzo del sangue l’arcivampiro Viktor (Bill Nighy), la macchina da presa si tuffa dentro la bocca del cadavere, s’infiltra veloce nel suo corpo a spiare dall’interno la rinascita degli organi. Ritroviamo qui lo “sguardo impossibile”, la mancanza di barriere visive propria del cinema contemporaneo.
Visibilmente costruito per dare avvio a una produzione seriale, “Underworld” semina con intelligenza alcuni temi. Il più divertente è l’interpretazione del conflitto vampiri/licantropi in termini di lotta di classe: non solo in passato i vampiri erano signori feudali e i lupi mannari servi della gleba, ma ancor oggi i vampiri sono ricchi e belli, di un “fetish” edonistico alla Anne Rice, e vivono in una grande villa (che naturalmente chiamano “castello”), mentre i licantropi sono dei poveracci, che si radunano in tetre gallerie per assistere a un divertimento plebeo quale la versione mannara del “Fight Club”.
Fra le molte citazioni del film la più originale è quella di “Un lupo mannaro americano a Londra” di John Landis, sia nelle trasformazioni dei licantropi sia nella scena di Kate Beckinsale nella metropolitana. Naturalmente, si tratta di un film nettamente derivativo. Basta vedere l’inizio, che si rifà direttamente a “Il corvo”; più in generale, “Underworld” è una sorta di epitome celebrativa di quello stile “dark” cui appartiene tanta parte della musica, del fumetto e della cultura grafica contemporanea. Una coppia di film simili per concezione grafico-narrativa è “Blade”; segnatamente, è migliore di “Underworld” il notevole “Blade II” di Guillermo Del Toro. A livello narrativo si sente poi l’influenza di un gioco di ruolo molto noto in America quale “Vampire: The Masquerade”; potremmo anche citare film vampireschi come il ciclo di serie B “Subspecies” o l’intelligente “La stirpe” di Michael Oblowitz. La stessa cultura dark si ritrova nel bel horror/action/comedy vampiresco hongkonghese (inedito in Italia ma reperibile in DVD) “The Twins Effect” di Dante Lam, con le Twins (Charlene Choi e Gillian Chung) e un grande Antony Wong. Anch’esso meglio di “Underworld”: basta confrontare le due scene, per caso coincidenti nei due film, di combattimento in un vagone.
“Underworld” è rappresentativo di una contemporanea concezione “grafica” del cinema ove l’immagine assume un valore autonomo e parallelo alla narrazione, per cui si potrebbe richiamare propriamente il fumetto. E che di cinema-fumetto si tratti, lo conferma il fatto che sovente questo tipo di cinema si esplica proprio nella trascrizione filmica di opere fumettistiche: qui penso in particolare al recente e sottovalutato “La leggenda degli uomini straordinari” di Stephen Norrington (i conti tornano: Stephen Norrington è stato regista del primo “Blade”).
(Il Nuovo FVG)
lunedì 7 gennaio 2008
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