mercoledì 9 gennaio 2008

Film sporco

Lorenzo Bianchini

Si chiama No Money Productions la struttura produttiva messa su dal friulano Lorenzo Bianchini per realizzare il suo terzo lungometraggio, “Film sporco”. Il nome dice tutto: la specialità di Lorenzo Bianchini è sempre stata la costruzione di film con zero lire. In questo lavoro Bianchini si è sempre mosso in una precisa dimensione autoriale; e “Film sporco” - scritto, montato e diretto - si può giudicare il suo film più maturo.
Noto come regista di film horror in friulano (il mediometraggio “I dincj de lune”, “Lidrîs cuadrade di trê”, che esce ora in DVD pubblicato dal CEC, e “Custodes Bestiae”), ora Bianchini si sposta a un noir metropolitano, parlato in italiano. Folle, esagerato, ironico, narra con qualche tocco splatter l’odissea di quattro sfigati spacciatori di coca (assai ben interpretati da Massimo Versolatto, anche co-sceneggiatore, Massimiliano Pividore, Edo Basso e Dejan Markovski) perseguitati da un killer misterioso che vuole ammazzarli a uno a uno.
Al pari del freddo humour, la divisione in capitoli annunciati in didascalia rientra nell’ambito delle strategie di raffreddamento messe in atto dal film; come ha dichiarato Bianchini, non intende fare veramente paura; e in effetti il nostro atteggiamento di spettatori è distaccato-ludico: vediamo questi quattro dementi precipitare nell’angoscia con lo stesso divertimento non empatico con cui guardiamo un cartone animato (o un videogioco giocato da un altro).
Mentre le riprese della bocca truccata del d.j. Enore - la cui voce accompagna tutto il film, finché non incontra il suo destino, e anche dopo - rappresentano un evidente riferimento parodistico a “I guerrieri della notte” di Walter Hill, nei dialoghi del film (menziono solo quello divertentissimo del litigio a proposito delle scarpe bianche) c’è l’eco della lezione di Tarantino. Vedi anche la bella doppia carrellata di andata e ritorno che attraversa un bar di pazzi, colti ai tavoli persi in irosi discorsi ripetitivi, come in una coazione a ripetere che si estende anche al piano lessicale: gelati in un replay esistenziale interminabile, che simboleggia e rappresenta l’intero svolgimento del film, fatto di isterismo e ripetizione. E’ la comica illustrazione di un universo bloccato nella demenza: merita riflettere che il concetto di un universo bloccato e ripetitivo ritorna sempre nell’opera di Bianchini (che altro sono il labirinto-trappola dei sotterranei di “Lidrîs cuadrade di trê” o i rapporti temporali ritornanti di “Custodes Bestiae”?). Il che, anche col fatto che sul piano spaziale ama esprimersi nella forma del labirinto, lo accomuna oltre che a Bava al Roger Corman del ciclo Poe. E’, quello di “Film sporco”, con la sua città notturna vuota come in un film di zombi, un mondo ricorrente e centripeto, dove tutto rimanda a tutto.
La forma dell’esplorazione labirintica ritorna tre volte nel film. Bianchini è influenzato dal cinema thriller di Dario Argento e Pupi Avati, col suo aspetto “antiquario”, giocato sulle vecchie cose abbandonate in inquietanti bric-à-brac. “Film sporco” presenta una stregata e minacciosa collezione di vetusti oggetti polverosi, più che mai evocativa di atmosfere avatiane: la decrepitudine, la decadenza, la memoria.
Lorenzo Bianchini ha sempre mostrato un particolare gusto per la capacità propria del cinema di costruire attraverso il montaggio uno spazio immaginario. Nel presente film la geografia fittizia (gli spettatori locali riconosceranno un mosaico di inquadrature di Udine e Paderno) non consiste tanto nella costruzione di una città ipotetica quanto nella compromissione totale fra la materia narrativa e sociologica metropolitana e queste immagini ultra-periferiche (esterni e interni), che non pongono una contraddizione fra metropoli e centro periferico perché la periferia si è per così dire metropolizzata - come imitazione imperfetta. In questo senso, rispecchiando perfettamente le figure dei nostri sfortunati aspiranti pushers.

(Il Nuovo FVG)

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