martedì 8 gennaio 2008

Tre amici, un matrimonio e un funerale

Matthew Reeves

Comincia con un cadavere senza volto e senza storia - come un thriller - la discreta commedia di Matthew Reeves “Tre amici, un matrimonio e un funerale”. Perché di Bill Abernathy, che vediamo, di nuca, suicida in apertura, né noi né il protagonista Tom (David Schwimmer) sappiamo niente. Ma come fai a dire alla madre, che ti annuncia piangendo la sua morte e sostiene che tu eri il suo miglior amico, che non ti ricordi assolutamente di Bill? Così Tom accetta la parte, diventa uno dei portatori del feretro (“The Pallbearer” è il titolo originale) e si trova a recitare in chiesa l’elogio funebre di un perfetto sconosciuto, nella scena più nera e divertente del film.
Non sapremo mai precisamente perché si è ucciso, il povero bastardo (come dicono gentilmente in America, dove un disgraziato è un “poor sonofabitch”). Peggio, il film bada bene a non farci vedere il suo viso, non nella scena del funerale, non quando Tom va a sfogliare l’annuario del liceo: la foto di Bill è la sola che manca e al suo posto c’è un rettangolo grigio. Perfino alla conclusione, quando si scopre un caso di omonimia e si presenta il vero amico, ci viene rivelato che questa favoleggiata amicizia non era poi così stretta. Davvero il povero Bill rimane nel film un vuoto grigio.
Quando “The Pallbearer” è stato presentato a Cannes nel 1996 - il film arriva tardi in Italia, portato dall’onda del successo di Gwyneth Paltrow e di David Schwimmer (“Friends”) - la critica ha rilevato negativamente la sua evoluzione narrativa, che dal “nero” iniziale lo trasforma in una gradevole commedia giovanilistica, trendy (vedi la cura nella compilazione della “score” musicale) e neo-romantica. Tom corteggia goffamente Julie (Gwyneth Paltrow, convincente nella sua caratterizzazione di ragazza indipendente “upper class”), il suo amore segreto del liceo, che era partita e ora è ritornata; ma il guaio è che intanto è anche diventato l’amante della madre del morto, una vedova quarantenne supersexy strepitosamente interpretata da Barbara Hershey (qui, “ça va sans dire”, il film ricorda volutamente “Il laureato” di Mike Nichols).
Che dopo la parte iniziale la sceneggiatura di Matthew Reeves e Jason Katims faccia una svolta e si diriga verso lidi narrativi più tranquilli, è innegabile. Però bisogna aggiungere che c’è una coerenza di fondo a reggere l’argomento: perché tutto “The Pallbearer” si struttura sul tema del non detto, del non ricordato, del falso, delle costruzioni difensive. Riguardano anche Julie (un paio di efficaci scene di ambiguo equivoco) ma il campione è Tom. Timido, impacciato, ossessionato da una madre invadente e un po’ matta, è il classico sfigato il cui atteggiamento verso la vita è difensivo, mimetico, fatto di reticenze e ingenue finzioni. La sua difficoltà ad atteggiarsi in modo diretto non è solo il motore dell’equivoco iniziale ma muove tutto il suo comportamento nel film: in tutto il film Tom è si nasconde dietro barriere, mascheramenti - con notazione acuta, Matthew Reeves ce lo mostra più volte che chiede abiti in prestito a un amico per adeguarsi alle situazioni - e schemi che ricadono su di lui.
Ovviamente questo è correlato a una mancata crescita: Tom abita ancora con la madre, vive nella tipica cameretta adolescenziale (impagabile, nella scena della visita di Julie, il dettaglio di lui che si scusa per non essersi liberato del letto a castello!), e non è fuori luogo notare che ha aspettato un anno dopo il liceo prima di cercare lavoro. Non per nulla la conclusione di questo piccolo romanzo di formazione ci mostra il suo trasloco. Certamente nel film l’impostazione sociologica è più interessante della sua traduzione sul piano dell’intreccio, ma anche quest’ultima non è disprezzabile; e un paio di scene d’amore fra David Schwimmer e Gwyneth Paltrow hanno una fresca semplicità che colpisce piacevolmente, in una materia così sfruttata.

(Il Nuovo FVG)

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