martedì 8 gennaio 2008

Spider-Man

Sam Raimi

Alla base dell’interessante ma non completamente riuscito “Spider-Man” di Sam Raimi sta uno dei miti fondanti cinematografici: quello del dottor Jekyll. Ossia l’incarnazione moderna del mito del Doppio.
Questo è evidente per quanto riguarda il nemico di Spider-Man, Goblin, qui interpretato da Willem Dafoe che ruba la scena al protagonista Tobey Maguire fin quasi a diventare il centro del film. Il personaggio è concepito sulla linea Jekyll-Hyde, dichiarandolo esplicitamente nella scena del dialogo fra Osborn/Willem Dafoe e il proprio riflesso nello specchio. Ma il richiamo all’“altro corpo”, materializzato da Stevenson in Mr. Hyde (nel romanzo è forte il paragone di Hyde con un abito o una maschera - un costume?), vale senz’altro anche per Peter Parker alias Spider-Man. Che poi in Italia è l’Uomo Ragno.
Da dove parte un supereroe? Sempre da un costume. O potremmo dire un supercostume, tanto s’identifica coi suoi superpoteri. Indossandolo, esibendolo, rendendosi usualmente irriconoscibile, un supersfigato diventa l’Altro da sé. Per Superman, col timido e occhialuto Clark Kent, era soltanto l’umoristica esagerazione di un travestimento: fedele a una linea di “autonegazione mimetica” risalente alla Primula Rossa e a Zorro. Per gli eroi della nuova generazione - è la rivoluzione di Stan Lee alla Marvel: la famosa formula “supereroi con superproblemi” - diventò una situazione esistenziale, da far ricco il loro psicoanalista. Così Peter Parker vive la frattura radicale fra la sua esistenza di “nerd” e la sua potenza segreta di supereroe. Sam Raimi, il suo sceneggiatore David Koepp e lo stesso Stan Lee, padre del fumetto, che qui è produttore esecutivo, hanno buon gioco a mostrarlo nel film con l’ambiguità del rapporto fra il protagonista e la ragazza della porta accanto Kirsten Dunst, che lui non osa toccare come Peter Parker e bacia - a testa in giù penzolando dalla ragnatela - come Uomo Ragno.
Come dire che Peter Parker proietta sotto il costume mascherato e la muscolatura irreale di Spider-Man quello che non è. Spider-Man è il suo Doppelgänger. Non sarebbe eccessivo aggiungere che in un certo senso lo stesso Goblin si pone come “Doppio” di Parker, quando lo tenta ad abusare dei suoi superpoteri, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano, visto che qui fondamentalmente si parla di un rapporto edipico (fa parte della tragedia di Parker il fatto di essere simbolicamente l’assassino dei suoi due genitori sostitutivi, lo zio prima e Osborn poi).
Tutto questo fa parte, prima che del film, della gigantesca opera fumettistica di Stan Lee (che è una specie di digesto pop dei miti culturali). Per quanto riguarda il film, però, l’impressione è appunto che gli spunti tragici presenti nell’opera di Stan Lee non siano emersi con sufficiente forza, o convinzione, nella sceneggiatura fondamentalmente piatta di David Koepp.
Certo, esiste tutta la grande tecnica di Sam Raimi, a rendere divertente il film (la goccia di sangue rivelatrice giù dal braccio di Spider-Man attaccato al soffitto: pura enfasi raimiana). Molte scene di “Spider-Man” sono un autentico piacere per la vista. Le sue felici evoluzioni per New York in primo luogo, naturalmente. Però si sa non era questo aspetto d’azione, bensì la quotidianità e l’incertezza di Peter Parker, a interessare in primo luogo Sam Raimi (il quale era anche singolarmente adatto al progetto: Raimi ci ha sempre narrato storie fantastiche che accadono a sfigati; basta pensare ai ragazzotti di “Evil Dead”, la serie “La casa”). Ebbene, siccome Raimi è un grande, ci aspettavamo un’opera della stessa grandezza dei “Batman” di Tim Burton. Non l’abbiamo avuta.
E sarebbe interessante chiedersi se nella freddezza emozionale che caratterizza “Spider-Man”, ai limiti dell’insincerità, c’entri la perdita di un’altra caratteristica base dei fumetti Marvel, del tutto assente qui: la logorrea dei supereroi - modulata fra l’autoironia dell’Uomo Ragno e la sentenziosità dei Fantastici Quattro o del Mitico Thor - che fa da contraltare epico (assolutamente brechtiano!) alle loro imprese.

(Il Nuovo FVG)

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