Kim Ki-duk
“Time” è la prima delusione che viene dal maestro coreano Kim Ki-duk (anche “L’arco”, nonostante un’opinione diffusa, era film di grande e malinconica bellezza). Ma attenzione: il cinema di Kim Ki-duk è una cosa seria: anche un fallimento va preso con rispetto.
Il film, che Kim ha prodotto, scritto, diretto e montato, si apre con terribili immagini di un’operazione di chirurgia plastica (autentiche, come mostra la grana video). “Mi dispiace di avere sempre la stessa faccia noiosa”, dice la bella ma mentalmente disturbata Seh-hee al suo amante Ji-woo. Follemente gelosa, Seh-hee è terrorizzata dal tempo che passa: è convinta che logori il loro rapporto, che dura da due anni. La sua soluzione è di sparire e cambiarsi faccia - era indicativo che in un litigio a letto lei piangesse coprendosi la testa col lenzuolo: anticipando quella negazione del viso come identità che è il tema del film (di cui, avverto, questa recensione rivela lo svolgimento). Dopo la plastica, riappare con volto e identità nuovi e diventa amante dell’ignaro Ji-woo. Qui sorge il paradosso: Seh-hee diventa gelosa di se stessa, della nuova identità che ha preso.
Dopo una drammatica crisi, Ji-woo a sua volta cambia volto grazie alla chirurgia. Seh-hee non lo ritrova più nella folla (forse è lui l’uomo misterioso che vede morire in un incidente). Disperata, accetta la proposta del chirurgo di “diventare irriconoscibile”. Con un’audace “circolarità impossibile”, vediamo che è lei la donna fasciata che usciva dalla clinica e veniva urtata da Seh-hee (lei stessa!) a inizio film.
In tutto il suo cinema Kim Ki-duk ha esplorato situazioni estreme. Ma solo in “Time” il risultato appare artificioso. E’ un film con molti aspetti di bellezza, ma la debolezza complessiva fa sì che la bellezza risieda nei frammenti - come le scene di Seh-hee che porta la foto del suo vecchio viso sopra quello nuovo come una maschera, o quelle nel parco delle sculture a tema amoroso/erotico. E’ il Parco delle Sculture di Baemigumi, create da Lee Il-ho, sull’isola di Mo: come in tutto il cinema di Kim, riappaiono le figure del mare e dell’isola come oscura profonda aspirazione.
Quali sono i motivi della gracilità del film? Alla base sta l’imperfezione della sceneggiatura. “Time” dà la netta impressione di un mediometraggio eccessivamente allargato. In realtà il regista avrebbe dovuto fare esattamente il contrario: condensare il suo apologo in un cortometraggio, tipo quelli del film a episodi panasiatico “Three Extremes”. Ed è poco consistente la caratterizzazione di Seh-hee: una psicopatica isterica, che non riesce a provocare empatia. Il che è strano, considerata la capacità che ha Kim di suscitare un sentimento di comprensione e adesione nei confronti dei personaggi più ostici e di dare naturalezza alle situazioni più innaturali (“The Isle”, “Bad Guy”).
Il titolo “Time” sembra sviante: il tema della paura del tempo che corrode l’amore si risolve esclusivamente in relazione al volto. Kim descrive un mondo in cui l’interiorità dei personaggi sembra interamente concentrarsi non nella storia personale ma nel viso. Infatti Kim Ki-duk è regista di corpi. Da questo punto di vista “Time” si inserisce in modo del tutto coerente nella sua filmografia. Lo dimostra questa citazione che traggo da un bellissimo libro sul regista, uscito in Francia prima del presente film: “Nel deserto dei segni, nel fallimento delle astrazioni, è il corpo stesso a tramutarsi in segno: il giovane di ‘Wild Animals’ che si pianta un coltello nella mano per provare la sua determinazione, la ragazza di ‘The Isle’ che si inserisce ami da pesca nella vagina per costringere il suo amante a rimanere” (Cédric Lagandré, in “Kim Ki-duk”, Dis Voir, Parigi 2006). Sono parole scritte sul cinema di Kim in generale; ma si adattano benissimo al gioco masochistico e sanguinoso degli scambi di volto che aziona la Ronde di “Time”. Peccato che il film stesso non sia all’altezza del concetto e dell’opera del regista in generale.
(Il Nuovo FVG)
venerdì 4 gennaio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento