martedì 8 gennaio 2008

Terminator 3 - Le macchine ribelli

Jonathan Mostow

Serve a mostrare la differenza fra un grande del cinema come James Cameron e un onesto artigiano come Jonathan Mostow il film “Terminator 3 - Le macchine ribelli”, diretto dal secondo, con Arnold Schwarzenegger di nuovo come Terminator nei suoi invidiabili 56 anni che sembrano 42.
Nel terzo episodio (con cui Cameron non ha avuto alcun rapporto) le macchine ribelli del futuro stanno ancora cercando di liberarsi del leader della resistenza umana John Connor, per cui - proprio come nel secondo episodio - arrivano dal futuro due Terminator contrapposti, uno per difenderlo e uno, più potente, per ucciderlo. Stavolta però il nuovo, letale modello TX è una donna (Kristanna Loken): una Terminatrix. Merita ricordare che neanche quest’idea è nuova: la ipotizzarono già James Cameron e William Wisher in sede di sceneggiatura di “Terminator 2”, ma poi la scartarono.
Riguardo ai due precedenti capolavori cameroniani, “Terminator 3” è manierismo, naturalmente: ma al 70 per cento è buon manierismo. Divertente e fracassone, il film di Mostow si concentra in modo quasi monomaniaco sul grande gusto degli americani, il “car chasing” (l’inseguimento su strada a gran velocità con scontri e speronamenti), e lo eleva all’ennesima potenza.
Potenza di mezzi, naturalmente: non necessariamente di effetto: qualsiasi inseguimento girato da William Friedkin (o dai fratelli Wachowski: “Matrix Reloaded”) è più bello ed emozionante di quelli del presente film, che pure sono senz’altro piacevoli. “Terminator 3” cerca di sfruttare l’estetica del “car chasing” soprattutto sul piano quantitativo. Ci arpeggia sopra per quasi tutto il film, e in questa scelta non è difficile scorgere un riferimento ideale a film monodimensionali come “Fast and Furious”; anche quando il “plot” si allarga, è sempre presente il tema del veicolo minaccioso (penso alle sequenze nella base militare).
Bisogna diffidare di quelli che dicono che oggi Hollywood è diventata niente più che una fabbrica di film-videogioco: sono “laudatores temporis acti”, esponenti sovente di quel pensiero progressista reazionario ch’è l’ossimoro più bizzarro della cultura attuale; a smentirli bastano film assai alti come quelli di Steven Spielberg “A.I.” e “Minority Report”. Tuttavia, sarebbe sciocco disconoscere come “Terminator 3” rappresenti un calo rispetto ai precedenti non tanto perché è semplicemente inferiore sul piano artistico quanto perché si fonda su una concezione meno ricca e articolata del cinema. Ed è proprio questo a indebolire l’interessante svolta finale, che per funzionare appieno richiederebbe di concludere un film con la stessa potenza di concezione di quelli di Cameron.
E’ piacevole il tono parodistico che serpeggia a tratti, col Terminator/Schwarzenegger che, comparso nudo dal futuro, finisce in un club di spogliarello maschile per la gioia delle clienti. Gustosa poi la gag degli occhiali a forma di stellina. Il film fa buon uso della sua gravità meccanica (la sepolcrale battuta “Ho mentito” è un’autocitazione da “Commando” di Mark Lester); però anche nei suoi momenti più “umani” non troviamo mai l’alta dolorosa drammaticità di “Terminator 2”; solo la memorabile frase “Io sono un modello antiquato...” raggiunge la grandezza.
Kristanna Loken è ottima come Terminatrix, col suo viso gelato, e la scena in cui piomba nuda nel nostro mondo è uno dei momenti migliori di un film discontinuo. La piccola gag seguente dei seni che si gonfiano ricorda troppo “Men in Black II”, ma il personaggio è riuscito; tuttavia, questa creatura potentissima che si trasforma il braccio nell’arma che vuole sa ormai di “déja vu”. Di nuovo, era meglio il T-1000 di “Terminator 2”, creatura di metallo liquido capace di sorgere materializzandosi dal pavimento, estremo limite della trasformazione cinematografica del corpo. E visti i presupposti produttivi, questa continua vittoria dell’episodio precedente nella comparazione non suona niente bene per “Terminator 3”.

(Il Nuovo FVG)

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