martedì 8 gennaio 2008

La stanza del figlio

Nanni Moretti

“Che percentuale di comprensione c’è in questa storia?”, chiede all’inizio de “La stanza del figlio” una paziente allo psicoanalista Nanni Moretti; e questa domanda appare troppo evidenziata per non autorizzarci a vederla come epigrafe per tutto il film. In effetti molti potrebbero essere i percorsi di lettura del bellissimo film di Moretti, molti gli argomenti; lo spazio costringe a scegliere (per esempio omettendo qui l’importante questione del rapporto fra il protagonista e Moretti come figura autobiografica dei suoi film); e un discorso importante da seguire è appunto quello della comprensione.
Comprensione, comprensibilità (anche strettamente linguistica), rapporto di comunicazione: una tematica tipicamente morettiana. Sia chiaro: per l’ateo conseguente Moretti, al di fuori della comprensione, assolutamente, resta la morte (cfr. la polemica sul discorso, una misera teodicea, del prete). La disgrazia - la morte del giovane figlio in un incidente di sub - è inspiegabile e indicibile; la morte “è”, oggettivamente, ma non dovrebbe esserci (il protagonista fantasizza dolorosamente sul “se”, su quelle minime scelte possibili - rifiutare un appuntamento, convincere il figlio a non andare al mare - che avrebbero evitato la tragedia).
Ma se non la morte, c’è molto da comprendere, anzi tutto, nel rapporto umano: che vuol dire ridefinire le certezze. Qui sta l’importanza del discorso del furto commesso dal figlio, attorno al quale si organizza la prima parte di questo film in tre movimenti e un epilogo. Qui Moretti espone quella disperata moralità che ha attraversato (in forme ora petulanti, ora alte come qui) tutto il suo cinema. Il furto, nota bene, è altrettanto importante nel sistema del film quanto la morte del ragazzo, anche se essa com’è naturale lo offusca e lo elimina. Tanto dai racconti dei pazienti del protagonista quanto dallo sviluppo familiare serpeggia un dubbio: va bene amarsi, ma ci conosciamo? Forse tutto è un’impalcatura ideale, pigra percezione viziata di una realtà nascosta che si rivela solo nel caso - e nella tragedia, che è la forma omicida del caso. E’ qui che Moretti ci mostra, quasi con autoironica incredulità, le sottili crepe che attraversano la descrizione implicitamente satirica della famiglia “Mulino Bianco di Sinistra” del film. Forse la realtà è una costruzione fragile, un credere più che un essere.
Poi tutto viene annullato dall’ombra della morte, che (se ne rende conto a sue spese anche il personaggio di Silvio Orlando, umile e ignorato contraltare del protagonista) entra da padrona, riscrive le priorità, ridefinisce gli affetti. Ecco di nuovo un grave carico di comprensione - nel senso di comunicazione - da raggiungere. Per via traversa Moretti in questo film con particolare sincerità fa i conti con se stesso: il timore ricorrente in tutto il suo cinema (non per niente una figura ricorrente della sua opera è l’afasia) di perdere la comunicazione con gli altri come portato dell’egocentrismo. La moglie Laura Morante: “Tu non parli mai con nessuno, pensi di perdere qualcosa se parli con gli altri - mi fai pena”. Nel suo lavoro di psicologo, prima della tragedia, se c’è una cosa su cui il film insiste è sul diaframma che lo separa dai suoi pazienti. Pure la calma un po’ annoiata della spiegazione razionale può essere una forma del tirarsi fuori: “Qualunque cosa faccia, lei mi giustifica sempre”, gli dice un paziente (è interessante nel cinema di Moretti questa tensione verso figure dell’apertura e della comunicazione nei due sensi, per lui contradditorie, quali lo psicologo e il prete).
Sembra che attraverso la chiusura della comunicazione il protagonista debba scendere sempre più in giù, via via che con nettezza a volte straziante il film tratteggia quel momento di stupefazione che precede il lento lavoro dell’elaborazione del lutto. Alla fine però dopo il viaggio “casuale” verso la Francia (la frase di Moretti in auto alla moglie, “Teniamoci svegli”, ricorda molto Eduardo) l’inaspettata risata collettiva sulla spiaggia segna l’inizio della risalita.

(Il Nuovo FVG)

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