Todd Phillips
Alla fine del film di Todd Phillips “Starsky & Hutch” compaiono due anonimi e consegnano ai due poliziotti la celebre Ford sportiva rossa che con le sue storiche sgommate era un po’ il simbolo del telefilm (1975-1979). “Chi sono questi due?” - “Non lo so, ma a pelle mi sono molto simpatici”. Si tratta com’è ovvio degli invecchiati Starsky e Hutch originari, Paul Michael Glaser e David Soul, che passano il testimone ai loro eredi cinematografici Ben Stiller e Owen Wilson. Piccola riflessione: in due minuti al massimo di apparizione sullo schermo Glaser e Soul, col loro sobrio ammiccare, recitano molto meglio di quanto non facciano Stiller e Wilson in tutto il film. Vorrà ben dire qualcosa.
La versione cinematografica di “Starsky & Hutch” conferma la preoccupante decadenza dell’arte della sceneggiatura a Hollywood: non nel senso generico che si scrivano brutti film, quello s’è sempre fatto, ma nel senso che emerge un che di dilettantesco (da sceneggiatore di film tv italiani, se rendo l’idea) che nel cinema americano si sapeva perlomeno mascherare meglio. Ciò impatta pesantemente sul principio, un luogo comune del cinema, per cui il passaggio dal telefilm al film è una sorta di promozione da comprarsi con un “adeguamento” dei personaggi, un loro approfondimento psicologico e quant’altro. Nel telefilm, benché entrambi fossero dei rompicollo, Starsky era più il tipo tosto (“streetwise”), Hutch quello più acculturato e riflessivo. Nel film, Starsky è un povero fesso compulsivo, col complesso di essere indegno della madre poliziotta defunta, e Hutch una specie di poliziotto corrotto che fa rapine mascherato nel mondo della mala (non si capisce come mai sia sempre senza soldi).
In realtà queste scemenze si spiegano come grossolana esagerazione delle tendenze irriverenti della serie tv. “Starsky & Hutch” era un gradevole poliziesco d’azione con tocchi di commedia, allegramente giovanilistico, attento alle mode degli anni ‘70 (sociologicamente, rappresentava l’assimilazione tra la figura del poliziotto e l’universo giovanile). La versione cinematografica - che evidentemente avrebbe potuto essere anche un capolavoro di ricostruzione d’epoca - è vacua e spompata. Nel suo sforzo verso la “comedy” sembra di sentire l’affanno, l’ansia, l’orgasmo degli sceneggiatori che in ginocchio implorano il pubblico di ridere. La banalità di concezione e sviluppo è costellata di citazioni “anni ‘70” che lasciano il tempo che trovano (sola eccezione spiritosa; quando Starsky e Hutch si travestono da “bikers” per infiltrarsi in un club di motociclisti, riproducono al millimetro Peter Fonda e Dennis Hopper in “Easy Rider”).
Si sente nel film l’incapacità dei realizzatori a trovare il “la”, a scegliere una nota sulla quale impostare la narrazione, il che produce una stridente varietà di toni. Esempio, la scena in cui Starsky e Hutch uccidono per sbaglio il cavallo della ragazzina è fuor di luogo, non in sé, ma perché siamo chiaramente in territorio “Scuola di polizia”. Il prevalente principio autoparodistico avrebbe richiesto un minimo di consapevolezza “enunciativa”, per esempio con l’uso dello sguardo in macchina: il film ci accenna un paio di volte e poi torna indietro come impaurito: per usare una metafora canina, questo è un film con la coda fra le gambe.
Alla sceneggiatura goffa e spompata fanno riscontro la regia vacua di Phillips e il montaggio pesante di Leslie Jones. Quasi mai divertenti, i protagonisti fanno una ben modesta coppia (anche se è la sesta volta che lavorano insieme). Owen Wilson sembra la caricatura di Robert Redford da giovane e appare più che altro annoiato, o imbarazzato; Ben Stiller, volonterosamente isterico, sembra la caricatura di se stesso. Meglio i comprimari, come Snoop Dog (l’informatore Hoggy) o Will Farrell (un carcerato depravato). E - anche se il personaggio in mano a Vince Vaughn (“Psycho” di Gus Van Sant) è più piatto di quanto poteva essere - non è colpa nostra se è più simpatico il cattivo.
(Il Nuovo FVG)
martedì 8 gennaio 2008
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