Andrew Adamson e Vicky Jenson
Non è poi così interessante sapere se “Shrek”, il nuovo cartoon DreamWorks in computergrafica, sia la vendetta personale di Jeffrey Katzenberg, boss della DreamWorks con Spielberg, contro la Disney che lo aveva improvvidamente licenziato anni or sono (per la cronaca: sì); quel che importa è che “Shrek” è la più radicale satira antidisneyana apparsa fin dai tempi dei fumetti underground americani di Robert Crumb & C. Ma prima di tutto conviene dire che questo film è un futuro classico della fiaba a cartoni animati. “Shrek” è delizioso tanto per lo sguardo fresco e irriverente che getta sui luoghi comuni dei cartoons fiabeschi e sui loro personaggi, gustosamente beffeggiati, quanto per l’eccellente realizzazione grafica (sono stupendi gli sfondi e i movimenti di macchina; belle anche le espressioni dei visi, mentre lascia ancora a desiderare la fluidità dei movimenti dei corpi umani).
Com’è noto, Shrek è un orco misantropo che si trova in missione assieme a un asino parlante, invadente e logorroico (nell’originale gli dà la voce Eddie Murphy, e possiamo immaginare che meraviglia). Lord Farquaad, un nanerottolo ambizioso che ha espulso dalla propria città tutte le creature fiabesche, vuole sposare una principessa per farsi re e così li invia a liberare la principessa Fiona, sorvegliata da un drago nella torre più alta d’un castello... Il film è una cascata di invenzioni spiritose. Non sarà “politically incorrect”, com’è stato detto con esagerazione, ma “fiabescamente incorrect” lo è di sicuro. La parodia della tradizione è la sua “raison d’être”; e “Shrek” porta nel lungometraggio animato a grossa distribuzione uno humour fisico che prima non usciva da certi cortometraggi. Ha una volgarità esilarante. L’orco Shrek ha una concezione orchesca della pulizia, abitudini alimentari del pari disgustose, non si fa problemi di rutti e scorregge, e per cenare a lume di candela si fruga nelle orecchie e si fa una candela col cerume! La principessa, nonostante il tradizionale aspetto preraffaellita, non è da meno (la voce originale è di Cameron Diaz, forse la più anticonformista, con Christina Ricci, delle dive americane). Sa ruttare peggio di lui, le piacciono i topi arrosto, e si dimostra anche un’ottima combattente di kung fu (qui “Shrek” fa spiritosamente il verso ai film hongkonghesi, con i classici ralenti e sospensioni).
Il film arriva a stabilire assai felicemente un doppio binario della comicità. Una parte del discorso è indirizzata al pubblico infantile (i bambini sono deliziati dall’umorismo corporale), mentre una linea parallela si rivolge agli spettatori adulti, con vari scherzi e riferimenti (dal wrestling agli show televisivi cogli applausi a comando) e con piacevolissimi passaggi di dialogo (vedendo le torri che si protendono verso il cielo della città di Lord Farquaad l’orco ammicca all’asino e dice: “Credi che serva a compensare qualcos’altro?”).
Entro questo doppio livello, quindi al di fuori delle quisquilie biografiche, possiamo gustare la parodia feroce della Disney. Che parte fin dall’inizio, riprendendo perfidamente il “topos” disneyano del libro di fiabe che si apre solo per farci scoprire che l’orco lo sta leggendo in gabinetto (e poi strappa la pagina, per un immaginabilissimo uso); tanto più che questo rimanda a “La bella addormentata nel bosco”, di cui la parte del castello col drago è una ripresa non meno ironica che emozionante. Di lì in poi, il film non se ne lascia scappare una. L’arrivo alla città di Lord Farquaad si risolve in una presa in giro di Disneyland. Viene sbertucciato lo schema musical delle fiabe Disney, con l’asino che cerca di lanciarsi in canzoni e l’orco che lo stoppa. E soprattutto lo stile della casa concorrente viene letteralmente massacrato nella scena del duetto della principessa con l’uccellino (puro Disney, come si vede) che finisce in un doppio scherzaccio così cattivo e brutale e ghignante che basterebbe da solo a procurare a “Shrek” un posto nella storia dei lungometraggi animati americani.
(Il Nuovo FVG)
martedì 8 gennaio 2008
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