Pete Docter
Partiamo da un concetto ovvio: i libri per bambini, come i film per bambini, li scrivono gli adulti. Da ciò un corollario che forse non si sottolinea abbastanza: nessuno ha mai scritto un bel testo per l’infanzia bamboleggiando e bambineggiando. Ci vogliono un’intelligenza e uno humour adulti (a parte che, si sa, gli adulti migliori sono quelli che hanno avuto la fortuna, e vorrei aggiungere la decenza, di restare un po’ bambini dentro). Lo insegnano J.K. Rowling con Harry Potter, Angela Sommer-Bodenburg con Vampiretto, e ora lo conferma lo splendido “Monster & Co.” (una produzione Disney-Pixar, diretta da Pete Docter) nel campo dell’animazione computerizzata.
Perché questo film per bambini nasce da menti adulte e sa mantenere un doppio livello di complessità. Incidentalmente, è fatto da cinefili citazionisti; certo i bambini possono riconoscere in alcuni dei mostri - come il protagonista James P. Sullivan e lo Yeti - il riferimento ai Muppets (non per niente fra le voci originali troviamo anche Frank Oz); ma ci sono citazioni più “adulte” come l’omaggio allo stile grafico degli anni ’60 nei titoli di testa (quei disegni di porte sembrano usciti dai cartoons della Pantera Rosa), o il fatto che a “Mostropolis” esista un sushi bar che si chiama Harry Hausen. Il film ha una sceneggiatura assai intelligente (di Andrew Stanton e Daniel Gerston, dal soggetto di altri quatto); basta pensare al concetto delle porte “disincarnate” da cui passano i mostri, col bel paradosso visuale dei protagonisti che fuggono in un altro mondo attraverso una porta che sta precipitando e subito si schianterà al suolo. E’ un film multidimensionale, “escheriano”. Una multidimensionalità quasi simboleggiata in apertura dai giochi di ambiguità sullo statuto dell’immagine (realtà/simulazione) e del sonoro (voce radiotrasmessa/voce di un personaggio presente fuori campo) - un’ambiguità che com’è giusto è poi replicata circolarmente alla fine.
Detto questo, prima che il film sembri ciò che non è, mi affretto ad aggiungere che “Monsters & Co.” è architettato per i bambini e non per i critici cinematografici. E’ un film divertente, spiritosissimo, più ancora del recente “Shrek”. L’idea base: i famosi “mostri nell’armadio” che terrorizzano i bambini piccoli lo fanno perché dalle urla di questi si ricava l’energia elettrica che manda avanti Mostropoli (“We Scare Because We Care” è il memorabile motto dell’azienda). Ma i mostri credono che i bambini siano esseri terribilmente pericolosi, e quando per incidente una bambina piccola si trova a girare libera per la città, scoppia il caos. Il mostro Sullivan e il suo amico Mike fanno amicizia con la piccola Boo, dal che si creano gustosi paradossi (la scena del mostro che deve convincere la bambina che nell’armadio non ci sono mostri!). Qui si aprirebbe uno squarcio per il patetico, che però è assai ben controllato - cosa rara nella storia delle produzioni disneyane - fino ad essere lasciato sottinteso nella bellissima ellissi finale.
Deliziosi i personaggi (per inciso, il doppiaggio è buono ma a pensare che le voci originali sono di John Goodman, Billy Crystal, Steve Buscemi, un po’ d’invidia viene); oltre ai protagonisti, sono memorabili la bella dell’azienda, Celia, coi suoi capelli di serpenti vivi che lei chiama “ragazze”, e il “cattivo” Randall, un lucertolone viola con la faccia da mascalzone e quattro mani animate benissimo. Quanto a questo, poiché l’animazione computerizzata è spesso apparsa finora un po’ fredda, né priva talvolta di momenti impacciati, va segnalato in “Monsters & Co.” l’eccezionale realizzazione delle espressioni e del movimento. Per le espressioni, basta guardare quelle, stupende e del tutto veridiche, di Sullivan quando sviene a ripetizione in una scena. Quanto al resto, tutto il film ha una felicità di ritmo e una fluidità di movimento degna quasi dei cartoon Warner dell’epoca d’oro. Così “Monsters & Co.” segna veramente un nuovo livello nello “state of the art”.
(Il Nuovo FVG)
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