martedì 8 gennaio 2008

Shakespeare in Love

John Madden

Se Flaubert poteva dire “Madame Bovary c’est moi”, cosa non potrebbe dire William Shakespeare secondo “Shakespeare in Love” di John Madden! Perché l’idea sottesa a “Shakespeare in Love” è che il teatro sia autobiografia; i sentimenti descritti nei drammi nascono dalla vita stessa e solo la vita può dargli corporea concretezza umana. Ovvero, se Shakespeare tanto ci commuove con la storia di Romeo e Giulietta è perché quella storia egli l’ha vissuta realmente. Dunque non dite che l’arte imita la vita (Aristotele) o che la vita imita l’arte (Oscar Wilde) o la cattiva televisione (Woody Allen): la vita si trasfonde direttamente nell’arte, e le conferisce profondità.
Questa concezione è del tutto anacronistica, naturalmente, parlando di teatro del sedicesimo secolo. Infatti, in questo amabile “pastiche” shakespeariano vengono a fondersi due linee-guida solo apparentemente contraddittorie: la prima è una ricostruzione d’epoca quasi didattica (bene ci mostra come funzionava e com’era fatto materialmente un teatro elisabettiano; e fra parentesi, finalmente vediamo scrivere con la penna d’oca com’era realmente, senza barbe tranne un ciuffo un cima); la seconda è un cosciente, divertito gusto dell’anacronismo che trasporta nella Londra della Grande Elisabetta tratti di contemporaneità americana - come quando, all’inizio, Shakespeare va dall’analista (“priest of psyche”), una scena che pare uscita dalla fantasia di Woody Allen (e che dire di quei barcaioli che sembrano tassisti newyorchesi?).
“Shakespeare in Love” è una discreta commedia romantica, fantasiosa cronaca della genesi di “Romeo e Giulietta” (nata da un amichevole suggerimento di Christopher Marlowe al bar!). Il giovane Shakespeare (Joseph Fiennes) vive l’esperienza di Romeo - con tanto di balcone, e di “Era l’allodola, araldo del mattino, non l’usignolo” - nel suo amore per l’aristocratica Viola (Gwyneth Paltrow), amore impossibile a causa delle barriere sociali. E Viola, prima per passione del teatro e poi per amore, si traveste da uomo per recitare accanto a lui (come tutti sanno nel teatro elisabettiano le parti femminili sono interpretate da ragazzi); il che proietta interessanti ombre di ambiguità sessuale (quei baci a un bel ragazzo coi baffetti). Da tutto ciò Will Shakespeare potrà trarre una buona fetta della sua ispirazione; ce n’è per “Romeo e Giulietta” e “La dodicesima notte” insieme.
La sceneggiatura di Marc Norman e Tom Stoppard contiene gustose acutezze; le parti sul teatro sono deliziose e la delirante caratterizzazione di John Webster, ragazzino impiccione e sadico (in quanto futuro drammaturgo “pulp”), è oltraggiosamente divertente. D’altro canto, è troppo insistita nel ricercare l’effetto di fusione tra realtà scenica e vita reale, che nel film si confondono trapassando dall’una all’altra in modo suggestivo, ma un po’ meccanico e invadente. “Shakespeare in Love” è un film divertente, ma non ispirato; ha grazia, ma non grandezza. Dell’autore drammatico e sceneggiatore Tom Stoppard era molto meglio un altro “dietro-le-quinte” shakespeariano, da lui diretto: “Rosencranz e Guildenstern sono morti” (non un dietro-le-quinte della genesi di “Amleto” ma della storia di Amleto stessa). Comunque, da vedere; per gli amatori del Bardo, poi, è un vero piacere seguire un film così abilmente intessuto di riferimenti autentici e “inner jokes”, che veste di carne cinematografica figure che siamo abituati a incontrare nei libri, come Richard Burbage. Film, poi, caratteristicamente ben recitato. La brava Gwyneth Paltrow è meglio di Joseph Fiennes, il quale a volte ha un’espressione un po’ alla Nicolas Cage. Però, soprattutto, “Shakespeare in Love” si raccomanda per uno stuolo di interpretazioni secondarie, fra le quali spicca una poderosa Judi Dench nella parte della regina Elisabetta, umana e solenne “dea ex machina” della vicenda.

(Il Nuovo FVG)

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