lunedì 7 gennaio 2008

Polar Express

Robert Zemeckis

Trovo, a proposito del brutto “Polar Express” di Robert Zemeckis, questa cattiveria in una recensione su Internet: “Purtroppo niente in ‘Polar Express’ sembra toccato da mani umane. Gli occhi dei personaggi... possiedono uno sguardo gelato che quasi fa paura, stile ‘L’invasione degli ultracorpi’. Il risultato è un esperimento fallimentare, privo di vita, in cui tutto va storto” (Peter Travers, RollingStone.com).
Ben detto - e non è solo questione di occhi. Versione cinematografica in immagini computerizzate di un popolarissimo racconto di Chris Van Allsburg (l’autore di “Jumanji”), “Polar Express” è realizzato con un sistema - Performance Capture - che si vanta di replicare al computer l’attore: l’interprete umano viene registrato nella sua performance attraverso una quantità di microsensori, quindi le sue immagini vengono rielaborate al computer ed inserite in scenari digitali. Così Tom Hanks ha potuto... interpretare? ...o dobbiamo dire fare da base a? ...5 diversi personaggi, fra cui il capotreno, Babbo Natale e perfino il bambino protagonista, con voce doppiata. Però “Polar Express” è un progetto cinematografico troppo in anticipo sui tempi: la tecnica della computer graphics non è ancora in grado di fornire un risultato veramente soddisfacente.
Infatti il livello dell’animazione è indubbiamente avanzato, ma proprio quel suo volersi porre come traduzione diretta del movimento umano (i nomi degli attori appaiono nei credits esattamente come se fosse un film dal vero) crea delle aspettative - o meglio, postula delle esigenze - che poi non vengono soddisfatte. Il movimento fisico dei personaggi è innaturalmente fluido: non si muovono come se fossero vivi ma secondo il calcolo matematico del computer. Probabilmente è per questo - oltre che per una coreografia senz’idee - che l’unico balletto del film suona così falso; invero erano più umani e credibili e “ballettistici” gli ippopotami e coccodrilli danzerini di Walt Disney, semplicemente disegnati, in “Fantasia” (1940!).
Le fisionomie, che dovrebbero essere il pezzo forte, mantengono costantemente un che di irreale; l’aspetto peggiore è il viso da bambolotto di quel Babbo Natale canuto, ma liscio e senza rughe. Infine, ancor oggi la computer graphics non è in grado di rendere in maniera del tutto realistica le masse: si crea sempre quella sorta di “effetto macchia”, che qui ritroviamo nell’adunanza degli elfi.
L’aspetto che funziona in pieno è invece - come prevedibile - quello “vuoto” degli sfondi e dei paesaggi, ben realizzato, adatto a rendere quell’aspetto angoscioso che è, in fondo, l’unico motivo di reale interesse del film: il quale arpeggia in modo sottilmente sadico sulla paura del gigantesco treno, sulla vertigine dolorosa del viaggio (a un certo punto i binari diventano montagne russe), sulla paura di cadere.
Un film come “Polar Express” si guarda, e si giudica, su un doppio livello: l’interesse del racconto e l’efficacia del mezzo grafico: due piani che ovviamente non sono scollegati. Qui bisogna dire che il racconto è deludente, lezioso. Come annuncia il suo inizio catatonico, “Polar Express” è un film scialbo. In confronto il Walt Disney “dal vero” più zuccheroso sembra Quentin Tarantino. Paradossalmente, questo racconto sdilinquito avrebbe avuto bisogno, per farsi accettare, di un maggior grado di deformazione grafico-concettuale. Avremmo voluto vederlo interpretato dai Muppet; allora sì che avrebbe funzionato; o magari dai Simpson (Bart sarebbe un ottimo protagonista, e del resto il capotreno già assomiglia a Flanders).
Un simbolo dell’approccio cauto e piatto del film è la colonna sonora di Glen Ballard e Alan Silvestri, le cui bruttissime canzoni sono una versione assai povera del vecchio stile disneyano. Cosicché quando a un certo punto, sulla prima apparizione degli elfi, entra a piena orchestra la classica, bellissima “O Tannenbaum”, fa sentire ancora di più la mediocrità delle canzoni originali.

(Il Nuovo FVG)

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