lunedì 7 gennaio 2008

Matrimoni & pregiudizi

Gurinder Chadha

“Ex Oriente lux”. Prima il cinema di Hong Kong ci ha indicato il modo di rinnovare, e quasi far rinascere, il cinema nostro (due terzi del meglio che viene dall’America, a partire da Tarantino, è di scuola hongkonghese); poi è esploso il cinema sudcoreano, che oggi non è un’esagerazione definire il migliore del mondo; nel frattempo restava vivo e operante - benché meno conosciuto di un tempo - il cinema giapponese; adesso inizia la sua ascesa quello della Cina continentale... In confronto a queste grandissime cinematografie, non possiamo dire che Bollywood (come si usa definire il cinema indiano) si ponga allo stesso modo, come ammaestramento, lezione narrativa e formale.
E tuttavia, noi occidentali dovremmo far nostra la lezione di Bollywood. Se non come ammaestramento formale, certo come esempio di godimento (e non è un ammaestramento anche questo?). Tale è infatti l’aspetto più immediato del cinema popolare indiano; questi lunghi film coloratissimi, regolarmente intessuti di numeri di canto e danza, posseggono una felice ingenuità - lo scrivo nel senso più positivo possibile - che il cinema dell’Occidente ha perso da un pezzo. Innocenza e godimento di quei festosi balletti coloratissimi, che dal punto di vista narrativo si pongono come una sorta di amplificazione enunciativa del testo!
Certo, il piacevole “Matrimoni & pregiudizi” di Gurinder Chadha (“Sognando Beckham”) è Bollywood, sì, ma una Bollywood occidentalizzata. Lo dichiara apertamente già il progetto di girare una versione indiana del classico inglese di Jane Austen “Orgoglio e pregiudizio”. D’altro canto è interessante la dichiarazione della regista che i temi del XIX secolo inglese si adattano a quelli dell’India del XXI; troviamo uno sguardo divertito sulla società indiana e i suoi rapporti coll’Occidente, supportato da attori efficaci (e come dimenticare la bellezza di Aishwarya Rai?). Anche in “Matrimoni & pregiudizi” il canto e la danza invadono la città; ballano le mature signore sui balconi, cantano nella folla vecchi indiani barbuti (arriva anche, a porgere i suoi omaggi, un coro di uomini travestiti da donna)... Ci riporta, questo contagio musicale, all’epoca classica del musical, dopo che il genere si era svincolato dall’aspetto teatrale (il “backstage musical”) ed era sceso nelle strade. Più tardi, verrà notomizzato nella trascrizione intellettuale di Bob Fosse: un maestro del cinema e del musical, ma indubbiamente con lui il musical ha finito di perdere l’innocenza. Oggi ha sempre, in Occidente, qualcosa di conscio, di citazionistico, di virgolettato, anche nei suoi esempi più alti (lo splendido “Chicago” è dichiaratamente fossiano e brechtiano). La concezione di Bollywood è invece ancora ingenua e festiva. E se l’azione si sposta, le entrate musicali non perdono la loro connotazione originaria, anche quando siamo in California e canta un coro gospel (cui si aggiungono due bagnini alla “Baywatch” con un vocalizzo).
Gusto della musica, gusto del colore. Il colorismo indiano, fatto di tinte vivacissime e accostamenti violenti, la sensualità cromatica “urlata” che non nasce dal nulla ma è propria di una terra di colori opulenti (i petali di fiori fiammanti, le polveri da tintura). Tutto questo, si obietterà, si può trovare in mille prodotti di Bollywood. Però “Matrimoni & pregiudizi” lo presenta in forme particolarmente consce. Basta vedere l’arguta scena metacinematografica della scazzottata fra due personaggi davanti allo schermo di un cinema indiano in Inghilterra (dove il film proiettato è una ironica “mise en abyme” fantasmatica dello svolgimento), fra gli applausi del pubblico - che era venuto a vedere un film di Bollywood, e un film di Bollywood vede!
Intelligente e spiritoso, senza essere un capolavoro, “Matrimoni & pregiudizi” incrocia le tradizioni cinematografiche esattamente come nel racconto si incrociano le culture. Guarda all’Occidente ma resta indiano nell’incrocio di culture - e qui sta il suo cordiale valore.

(Il Nuovo FVG)

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